Capitolo 10

7 2 0
                                    

Stamane il primo pensiero che mi è sovvenuto è il suo. Ciò che è accaduto ieri ancora è fisso nella mia mente un modo incancellabile, non riesco a credere di essere riuscita a parlare con Daniel senza far tremare la mia voce o senza commettere qualche figuraccia come sono solita fare. Sono rimasta salda, ho mantenuto la mente lucida e ho evitato di fare sciocchezze.
Vorrei tanto dirgli ciò che provo per lui, rivelargli la verità così da sentir pronunciare da quelle meravigliose labbra il mio vero nome. Portarlo nella mia splendida Torino, fargli visitare la mole Antonelliana, portarlo in giro per negozi, passeggiare abbracciata a lui, tenerlo per mano, comportarmi come se fossi la sua metà insomma. Tutto questo però non succederà.

Appena scoprirà la mia identità si allontanerà e non vorrà mai più sentir nominare il mio nome, verrò bandita dalla squadra e sarò additata come la bugiarda della situazione. Fa male tutto questo ma sto cercando di abituare la mia mente a ciò che dovrà accadere.
«Possibile che sei perennemente assente?» domanda Valentina sfilando dell'orecchio un'auricolare.

«Stavo pensando Vale. Non sono assente.» affermo portando il mio sguardo su di lei. Stiamo rientrando a Milano e in questo momento siamo tutti sul pullman che ci porterà in aeroporto.
«A cosa pensavi? A Daniel?» sussurra il nome del ragazzo per far sì che non senta visto che siede poco più avanti affianco a Dylan.
«No, penso a me Vale. Sai già a cosa mi riferisco.» ammetto e lei annuisce. Non può sbagliarsi, sono sempre gli stessi i pensieri, la mia famiglia, il mio vero nome e ciò che potrà pensare Daniel quando gli rivelerò tutto. Voglio essere io a farlo, non voglio che nessun altro si permetta al mio posto. Una volta atterrati a Milano mi precipito subito a casa dove ad attendermi ci sono i miei genitori e una tavola imbandita di prelibatezze.

«Ho preparato il tuo piatto preferito tesoro.» i miei occhi saettano subito al risotto al forno non appena mamma pronuncia quelle parole.
«Abbiamo seguito in Tv la partita dei Golden Stars. Hanno giocato non tanto bene.» ribatte papà e non posso fare altro che dargli ragione.
«Effettivamente si sono allenati parecchio ma non hanno dato il meglio di sé. Speravano in una vittoria così da rientrare a casa con i tre punti in tasca ma purtroppo non tutto va come si spera. Noi ci siamo riuscite però.» esclamo felice in parte per aver aiutato la mia squadra a riaprire il campionato.

«Infatti siamo molto fieri di te tesoro mio.» mamma arrossisce quando papà le posa una mano sulla sua che tiene un piatto. Dopo che pranzo torno in camera mia per sistemare le mie cose e per riposarmi. Domani avremo nuovamente allenamenti così approfitto questo pomeriggio per dedicarlo al riposo e allo studio. Ho un esame a breve e dovrei terminare di studiare l'ultimo capitolo del libro.

«Tesoro, giù c'è un signore che chiede di te. Scendi?» mi informa mia madre facendo irruzione nella mia camera. Un signore? Scendo con lei e un uomo di mezza età, bassino e leggermente robusto, attende vicino lo stipite con in mano un fascio di rose rosse.
«La signorina April Napoleoni?» domanda e annuisco. Chiunque sia stato ad inviarmi i fiori non conosce il mio nome reale.
«Da parte di Daniel Solina signorina. Può firmare qui?» sottolinea e sobbalzo non appena fa il suo nome. Firmo nell'angolo che mi indica con il dito e prendo il fascio ringraziandolo e tornando in camera mia.

Il telefono segna l'arrivo di un messaggio così mi precipito a vedere il mittente.

DANIEL: Piaciute le rose?
ABBY: Fin troppo, ma a cosa le devo?
DANIEL: Volevo semplicemente ringraziarti per le belle parole April. Sei stata di conforto ieri, grazie davvero.

Sorrido al suo ultimo messaggio e decido di non rispondere, lo farò domani di persona. Sistemo le rose accanto agli altri fiori che mi sono stati regalati dal mio ammiratore segreto e riprendo a concentrarmi sullo studio. Dopo un'ora abbondante mi arriva una chiamata. Rispondo senza preoccuparmi di chi possa essere.
«Sono Daniel, April.» allontano il telefono e mi rendo conto che a chiamarmi è stato proprio lui. La sua risata mi fa intendere che abbia capito che non ho controllato chi fosse così decido di fare il classico gioco del silenzio e aspettare che sia lui a parlare. «Non mi hai risposto, così ho deciso di chiamarti per invitarti personalmente.» continua e non capisco.

Quítame Where stories live. Discover now