Ettore e Astianatte

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Giove pietoso
E voi tutti, Celesti
Concedete che di me degno un dì mio figlio sia
E fate che il veggendo tornar dalla battaglia
Dica talun:
"Non fu sì forte il padre"

Hai appena recitato questi versi in classe, Manuel. Un po' scocciato, davanti a mio padre che, desideroso di convincerci a partecipare al concorso letterario e sorpreso dalle parole di Luna, ti ha chiesto se fosse vero, come ha detto, che conosci tante poesie.

"Ne sai tante?! Quindi c'è qualcosa che ti piace studiare!" ha esclamato fiero, lo stronzo.

E tu gli hai semplicemente risposto: "Quello che me piace"

"Eh! E allora, dai. Dicci qualche verso che ti viene in mente..." ha incalzato lui.

Ma perché proprio quello, Manuel? Fa così male, quello. È come sale sulle mie ferite. Ferite che nessuno sa, forse neanche chi me le ha procurate. E a chi dice che l'epica, la letteratura, la poesia, sono cose lontane da noi... io farei sentire questo dolore qui. Che mi stringe il cuore in una morsa di rabbia e di paura. Che mi fa tornare bambino. E che mi costringe a fissarti le mani, mentre te le sfreghi nervosamente, sopra il banco. Le tue mani bellissime che parlano per te anche quando tu non parli. Anche quando i tuoi occhi guardano in basso, come adesso, incapaci di accettare consensi, di sorridere davanti ai complimenti.

Eppure, lui te li fa. Colpito nel suo orgoglio di professore.

"Bravo" mormora. E annuisce compiaciuto. Tra gli applausi di tutti i nostri compagni ai quali, con la mente assente, mi aggiungo anch'io.

"Perché hai scelto Omero?" ti domanda poi.
E tu gli rispondi: "Perché spacca"
"Spacca" ripete lui. "Analisi critica di Omero..." e ride. Ma io lo sento lontano, Manuel. Non ascolto quello che dice. Ho ancora nelle orecchie quelle parole, pronunciate da te. E il dolore non mi è mai sembrato così dolce.
"E perché proprio il brano dove Ettore... incontra il figlio"
"Perché è bello" rispondi tu dopo un attimo di esitazione.
E il suo sguardo incrocia il mio, per un istante.
"Eh sì, è bello. È molto bello" mormora, prima di abbassarlo. E ha negli occhi un dolore lontano, come un fantasma. Quel dolore compatibile col mio, e che non mi dice. Il dolore di un padre che, come Ettore, guarda negli occhi il figlioletto e sa che non lo rivedrà mai più. Che non potrà più prenderlo in braccio, giocare con lui, baciarlo. Lui ha smesso un giorno di tanti anni fa, quando ha deciso di andarsene. Di partire per la sua personale guerra. E quando è tornato, il bambino che aveva lasciato non c'era più.
A volte mi chiedo cos'abbia pensato, da grande, Astianatte. Se abbia provato dolore, per quel padre che non c'era più. Se l'abbia perdonato per averlo lasciato, per non essere tornato da lui. O se invece abbia dimenticato il calore delle sue carezze come se non fossero mai esistite.

E chissà se si è avverato, l'ultimo desiderio di Ettore. Se suo figlio, che eppure non ha mai visto la guerra, è diventato un uomo coraggioso e leale. O se invece è diventato solo uno stronzo. Come me. Come te.

Forse è questo che ci rende simili, Manuel.

Tu tuo padre non l'hai mai conosciuto. E io ho dimenticato com'era averne uno.

Indelebile || Simone e ManuelDonde viven las historias. Descúbrelo ahora