Lo fai per amore?

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E poi così
tu sei qui...


È stato strano rivederti dopo quello che è successo, Manuel.

Dopo essere stato in un altro Paese, aver preso due aerei in nemmeno quarantott'ore, aver detto tutto a mamma.
Sarà che mi sento ancora frastornato. Che ho un buco allo stomaco come dopo che hai pianto. Sarà che Roma quando non la vedi per un po' ti sembra un'altra.

Eppure adesso sono qui. Metto in gioco il cuore un'altra volta, e spero che non si faccia troppo male.


Tornato da scuola, papà mi ha detto che mi volevi parlare.

"Ti va di incontrarlo?" mi ha chiesto. E io ho pensato che sarebbe stato meglio incontrarci in un terreno neutro, prima di rivederci in classe. Perché sono tante le cose che non ci siamo detti per telefono. Quelle che forse per vergogna non ci diremo mai. Ma a noi basta uno sguardo, no? E l'imbarazzo svanisce. E svanisce la rabbia. E torna tutto semplice, e chiaro.
E allora gli ho detto di sì, e lui mi ha sorriso con gli occhi, come quel giorno al campo di rugby.

Poi tu mi hai mandato un messaggio, mi hai detto che saresti passato nel pomeriggio, e io ti ho risposto che t'avrei aspettato.


È stato strano rivederti dopo quello che è successo, Manuel. Ma è stato bello.

Ero seduto a bordo piscina e quando sei arrivato ho sentito i tuoi passi sulla ghiaia, e ti ho visto farmi un cenno da lontano. Mi hai sorriso anche se il tuo sguardo era triste, e poi sei venuto a sederti vicino a me.

E così adesso siamo qui, le gambe penzoloni nella piscina vuota e il cielo nuvoloso a farci da coperta. Io mi sistemo il bordo dei pantaloni per evitare di guardarti e tu lanci un sasso laggù, in quel ristagno d'acqua.
Non ci diciamo niente. Ma stiamo accanto, e basta.

Poi tu prendi la parola, e rompi il ghiaccio.
"Come sei stato a Glasgow?" mi chiedi.
È una domanda inutile, fatta solo per dire qualcosa. Come le osservazioni sul tempo che si fanno quando si esauriscono gli argomenti. Ma nell'inclinazione della tua voce lo sento, l'imbarazzo di non sapere che dire.
"Bene
, devo dire" mi affretto a risponderti. E dentro di me ti ringrazio per la tua domanda inutile. Perché anche a me l'imbarazzo ha portato via le parole, e avrei passato tutto il tempo a guardarti senza dire niente.
"La città? Com'è?"
"Molto figa e fredda"
Rispondo alla tua lista di domande e intanto mi chiedo quanto è lunga, e quanto impiegheremo a dirci quello che non abbiamo il coraggio di dirci.
Poi tu abbassi lo sguardo, e ti strofini le mani.
Lo fai sempre, quando sei in difficoltà.
"Senti, mi... mi dispiace per le cose che t'ho detto e per le botte che t'ho dato" dici tutto d'un fiato, e così ti togli il peso.

E io decido di stare al gioco.
"Veramente sarei io che... t'avrei fatto nero" replico. "Mi sono fermato per non infierire"
"Mh mh" mormori tu, e ridi.
"Sì" e rido anch'io.
Mi rigiro un filo d'erba tra le mani e d'un tratto mi sento più leggero.

Poi tu guardi il fondo del giardino e mi chiedi: "Ce sta qualcuno in casa?"
"No. Perché?"
E sento fermarsi il cuore, Manuel.
Nel film che è dentro la mia testa adesso mi baceresti.
Ma so che non lo farai e allora attendo, paziente, il prossimo segreto che hai da dirmi.
Infatti subito dopo, "Te faccio vedé 'na cosa" biascichi, e prendi qualcosa nello zaino.
Un fagotto di lana.
Lo appoggi sul pezzetto di cemento che ci separa e lo apri, distogliendo subito lo sguardo.
Cazzo, Manuel.
Una pistola.
Ti guardo con occhi sgranati e ti chiedo: "È vera?"
È la prima cosa che mi viene in mente. Quanto vorrei che fosse 'n giocattolo. Che non t'avessero messo un'arma in mano. A te che sei così fragile, che con un soffio di vento voli via.
Tu annuisci e abbassi lo sguardo, colpevole.
"Chi te l'ha data?"
"Sbarra..."
"Ma mica c'avevi chiuso con lui?"
"Sì, devo minacciare uno che ha perso i soldi...con le scommesse dei cani"
La prendo, la punto davanti a noi, pesa.
"Però lo devo solo spaventà"
La guardo. Non ho mai visto una pistola vera. Puzza di ferro.
"Quanto pesa oh" commento. "Ma è carica?"
"Sì" mi dici tu prendendomela con forza dalle mani, come si fa coi bambini. "Ce stanno cinque colpi, stà attento!" e la rimetti a posto. Ci riavvolgi la coperta di lana intorno e mi guardi. Solo per un attimo, Manuel. È la prima volta e mi sento di nuovo nudo, e vulnerabile, davanti ai tuoi occhi. Poi riprendi a strofinarti le mani e guardi da un'altra parte, un punto ignoto davanti a noi. Non mi dici più niente e io non lo reggo questo silenzio, non più.

"Vengo con te" dico.
E d'un tratto ritorna tutto. I pomeriggi al garage, le canne, i pezzi di ricambio della macchina. Non è successo niente, Manuel. Non ho avuto paura, e non sono scappato. Sono sempre qui. Mi fa paura quello che devi fare e vorrei impedirti di farlo, ma vengo con te. Perché non posso fare altro.
Tu mi guardi, fai un gesto con le mani e dici "No, non serve"
E sorridi nervoso.
"Ma sì, t'aiuto a non fà cazzate! Eh?" ti sorrido io, sicuro. Anche se dentro muoio.
Abbassi lo sguardo, Manuel. E mi squadri dalla testa ai piedi.
"Lo fai per amore?" mi dici, e poi sbuffi. Le labbra strette allungate in un sorriso ironico e canzonatorio, e gli occhi piccoli e scuri su di me. C'era bisogno? Perché mi devi prendere in giro?
Ti tiro un piccolo pugno sul braccio e ti spingo, facendo schioccare la lingua sul palato.
"Mica sono innamorato di te, io" ribatto, serio.
Menomale che il cuore, quando vuole uscire dal petto, non si vede.
"Sei sicuro, sì?" ridi tu, più leggero. E non c'è malizia nel tuo sguardo, non c'è cattiveria.
"Te la posso dire una cosa?"
Alzi il mento e ridi con gli occhi, Manuel.
"Dimmi"
"Non sei proprio il mio tipo"
Mi fingo serio per farti ridere ancora, o forse solo per difendermi. E funziona.
"Menomale" commenti.
E ridiamo insieme.
E d'un tratto siamo di nuovo noi.
Incasinati, incompatibili e impauriti.
Eppure sereni.


A volte in mezzo al mare anche noi
rischiamo di affogare dentro ai guai
Ci sappiamo consolare, come sai
rimanendo lì distesi
ad occhi chiusi
ad una nuvola appesi

Indelebile || Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora