La morale

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Un Professore 1x03

Simone


Se c'era una cosa che speravo, ma su cui nutrivo forti dubbi, era che stamattina andasse meglio. E infatti la campanella è suonata da soli cinque minuti e ho già schivato i primi colpi della giornata, come il solito pugile messo all'angolo.

Il primo, lo sguardo di Manuel fuori da scuola. Quando mi ha domandato, senza parole, come stessi dopo la scenata dell'altra sera. Il secondo, la mano di mio padre che mi ha afferrato per una spalla in corridoio chiedendomi di parlare. E il terzo, Zucca di fronte alla porta di classe, che si è preso Manuel da una parte e gli ha detto qualcosa all'orecchio prima dell'inizio della lezione.

Ma la giornata è appena iniziata, e me lo ricorda, con una precisione disarmante, lo stesso Manuel quando entra in classe sorridente, seguito dallo stronzo, e mi passa accanto per andare a stampare un bacio sulle labbra di Chicca. Facendomi maledire questo vizio che ho di non staccargli mai gli occhi di dosso.
"Allora, oggi..." inizia a parlare dopo aver appeso il cappotto all'attaccapanni, facendomi alzare gli occhi dal libro di testo che stavo scarabocchiando. "Vorrei parlarvi... di un filosofo geniale e ossessivo" spiega, iniziando subito dopo a scrivere il suo nome sulla lavagna a caratteri immensi: KANT.
In quel momento bussano alla porta, e al suo "Avanti!" disinteressato e pacifico segue il viso di una ragazza, che si affaccia intimidita e ci guarda con i suoi occhi grandi.

"Buongiorno...." squittisce, con un filo di voce. "Sono... Monica Altieri"
"Ah, tu sei la nuova allieva?" la indica lui allungando con un gesto della mano.

"Sì"
"Benvenuta. Ciao, mi presento" e le si avvicina. "Io sono Dante, professore di filosofia..." farnetica. Poi torna a guardare noi. "La nostra nuova... amica..." ce la introduce. Quindi si rivolge di nuovo a lei e "Ti puoi mettere lì, lì, ci sono due posti liberi, come... come preferisci" le dice, mentre lei sceglie senza esitazione un banco della prima fila.

Mi volto a commentare la sfacciataggine dello stronzo con Manuel, che stavolta non accoglie la mia polemica e mi liquida con un "Stai a sentì" al quale rispondo scocciato: "Guarda come va a finire eh" e intanto lui blocca la nuova arrivata col suo solito insopportabile entusiasmo, invitandola a lasciare le proprie cose sul banco e a raggiungerlo per una delle sue dimostrazioni.

E infatti... "Mettiti qua, Monica" dice, pronunciando con enfasi il nome della poveretta che, mani intrecciate e occhiali da sole sulla testa, ha lo sguardo di chi è appena arrivata in una classe dove non conosce nessuno e si trova nel mezzo di 'sta pagliacciata. "Monica è fatta di pelle..." continua lui facendo schioccare la lingua sul palato. "Vediamo, di carne... ossa. È quella che Kant definisce..." alza una mano a sottolineare le parole che si prepara a pronunciare: "Soggetto empirico" e guarda qualcuno alla sua destra. "Okay?"
Quindi si rivolge di nuovo a lei, e con entrambe le mani calca nell'aria il contorno della sua figura. "La possiamo vedere, possiamo..." si sporge verso il suo collo "...annusare, il suo profumo... molto buono, complimenti. Possiamo, volendo, toccarla"
"Magari" commenta Aureliano, provocando una leggera risata da parte degli altri, che lo stronzo seda subito con un "Basta" detto a mezza voce.
"Cos'è che distingue Monica da... non so, una tigre, da un leopardo?" continua. "Cos'è che distingue noi esseri umani... dagli animali?" domanda alla classe, tagliando subito dopo con un "Accomodati pure, grazie... grazie" e facendole cenno di prendere posto al banco prescelto.
"La coscienza" azzarda Giulio dopo un istante di silenzio.

"La coscienza, giusto..." ripete lo stronzo, mani sui fianchi, percorrendo a passi lunghi lo spazio che intercorre tra la prima fila e la cattedra, in cerca di altre risposte.
"La parola?" ci prova Laura.
"Parola..." conferma lui annuendo.
"La musica trap!" esclama Matteo.
"La musica trap! Daje bello!" lo canzona lo stronzo facendogli il verso e ripetendo con le mani il gesto dei cantanti trap. Cosa che, ovviamente, provoca l'ennesima risata da parte di tutti. "Sì... anche un po' la musica trap, sì..."
"L'anima, prof?" interviene a quel punto Manuel.

"L'anima!" acconsente lui. "Tutte cose giuste, l'anima molto importante" e lo indica.

"Però, soprattutto invece, è una cosa che tutti quanti abbiamo dentro e abbiamo soltanto noi. E Kant la chiama... legge morale" spiega soffermandosi sulle ultime due parole, come fa sempre quando deve sottolineare un concetto. "Per voi cos'è...mmmh...la morale? Cioè, potrebbe essere, non so... Seguire i dieci comandamenti... ehm, le leggi, le regole. Che cos'è la morale per voi?"
"La morale è tipo avere un...codice d'onore, no?" gli risponde Manuel.
"Un codice d'onore, cioè anche i mafiosi hanno un codice in effetti, ma non è...esattamente quello" ride, e tutta la classe dietro a lui.

Poi si ferma, e chiama il mio nome.
Costringendomi così a degnarlo di attenzione.

"Simone, per te" dice. E più che una domanda sembra una sfida, una provocazione.

"Che ne so io" mi prendo la libertà di rispondergli, a mezza voce, senza alzare lo sguardo dal libro.

Ma lui non si arrende.
"Okay. Allora vi faccio un esempio: c'è un figlio... che vuole picchiare suo padre"
Alzo lo sguardo.

Sì, era decisamente una provocazione.
"Ma proprio all'ultimo secondo, prima di farlo, si ferma" spiega, raggiungendo la porta. Quindi si volta di nuovo verso di noi con un'espressione quasi funerea, e domanda: "Perché?"

Sento lo sguardo di Luna addosso.

"Ha voluto seguire il comandamento 'onora il padre e la madre'? O perché ha sentito dentro di sé qualche cosa che gli diceva che era sbagliato farlo?" insiste. E per l'ennesima volta mi domando cosa glielo faccia fare. Cosa lo spinga a provarci così tanto con me, quando è chiaro che è tutto inutile, che i cocci rotti non si riaggiustano.
"Magari non voleva sporcarsi le mani"
gli rispondo e così, magari, gli do soddisfazione.
"Non voleva sporcarsi le mani, ecco questo è un linguaggio che noi riconosciamo...potremmo trovare in un b-movie di Mafia, ma noi qui non vogliamo essere così superficiali, così banali. No! Per Kant il figlio non picchia il padre" taglia "Perché ha sentito dentro di sé una cosa che lui definisce... imperativo categorico. E che è una cosa che abbiamo tutti quanti, soltanto che qualche volta ce ne dimentichiamo" conclude piazzandosi al centro della classe, le gambe divaricate, le mani sui fianchi, e lo sguardo fisso su di me. E non solo il suo, me ne rendo conto quando nella stanza cala il silenzio e tutti mi guardano come se si aspettassero qualcosa da me.
"E se il padre fosse un padre che se le merita le botte...?" incalzo allora accontentandoli. "Tipo il padre di Romolo e Remo, no? Che li aveva abbandonati..."
Lui annuisce e sul suo sguardo cala un velo di malinconia. Forse stavolta ho fatto centro.

"Non si meritava che da grandi i figli gli spaccassero la faccia?" continuo con tono paziente, e stavolta a fissarlo sono io.
"Sì, certo... perché no, certo... immagino di sì" farfuglia. "Però. Uno studente del liceo dovrebbe sapere che per Romolo e Remo non sarebbe stato così facile...picchiare il padre, perché il padre era...? Era? Ma...?"

E la sua domanda cade nel vuoto, in mezzo al parlottìo generale e ai sospiri di Matteo, che coglie la palla al balzo e risponde: "Ma... Mario"
Ancora non ho capito se è scemo per davvero o se lo fa apposta. In ogni caso, a volte la sua ironia è davvero fuori luogo.
"Mario era il padre...!" ripete lo stronzo facendogli il verso, e provocando un'altra risata da parte di tutti. "Era Marte! Il Dio della guerra!" esclama. "E Marte, il Dio della guerra, a Romolo e Remo...che gli fa?" domanda ancora aprendo i palmi delle mani verso di noi, in cerca di una risposta che non tarda ad arrivare da Manuel.

"Che je fa, je fa un cu..."
"Abbiamo capito! Non lo devi dire! Non lo devi dire..."
lo ferma lui prontamente, mettendo avanti le mani. E facendo ridere di nuovo tutti.
"Undicesimo del primo tempo" mormora quindi Matteo attirando l'attenzione. "Balestra Senior beffa Balestra Junior uno a zero...e palla al centro!"

Gli altri ridono, ma a me non fa ridere affatto.

Sarà contento, adesso, lo stronzo.
Mi ha preso in giro davanti a tutti i miei amici. E si è fatto solo ancora più bello ai loro occhi.
Quando finisce la lezione mi sente.
Gli dico che mamma ha fatto male a chiedergli il sacrificio di vivere con me. C'è nonna, lei sì che sa farsi rispettare. Gli dico di cercarsi un'altra casa. Che non lo reggo più, che mi fa solo male.

Glielo dico. Eccome se glielo dico.

Indelebile || Simone e ManuelWhere stories live. Discover now