Capitolo 4

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Sofia si svegliò presto perché quel giorno avrebbe dovuto iniziare a fare qualche foto dell'allenamento per il profilo degli azzurri; si vestì e uscì.

Appena arrivò al campo vide il suo migliore amico e altri suoi compagni, tra i quali riconobbe Barella, Pessina e l'altro ragazzo che si ricordò di aver visto provarci con Thessa

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Appena arrivò al campo vide il suo migliore amico e altri suoi compagni, tra i quali riconobbe Barella, Pessina e l'altro ragazzo che si ricordò di aver visto provarci con Thessa. Dopo qualche secondo arrivò papà insieme ai suoi colleghi e introdusse l'allenamento del giorno: un po' di palestra, qualche esercizio in campo, una partitella e un po' di corsa.
Subito la mora andò in palestra e vide un gruppetto di calciatori di cui non conosceva praticamente nessuno, per cui si posizionò in un angolino e fece qualche foto, forse esagerò ma, come nella vita, era un'eterna insicura.
Raccolse abbastanza materiale e si spostò sul campo per fare altre foto e vide Bernardeschi correre; nonostante la sua presenza cercò di concentrarsi su tutta la squadra ma, in qualche modo, l'obiettivo della macchina fotografica finiva sempre su di lui.
Passó il tempo e decise di poter concludere lí il suo lavoro, andò a posare la macchina fotografica e avvisò a lasciarmi fare una passeggiata: presi le cuffie e mi avviai.
Camminato per un'oretta decise che fosse tempo di tornare ma si rese conto che per i ragazzi era il momento della corsa, infatti in lontananza vide un gruppo avvicinarsi correndo.
I suoi occhi color nocciola cercarono subito i suoi e li trovarono dopo un po' quando il ragazzo, separato dal gruppo, stava camminando da solo.
«Ti sei perso?»
«Ehi, mi ero fermato a parlare con il mister, tu che fai qua?»
«Ho fatto una passeggiata, vuoi compagnia?» chiese titubante.
«Non mi dispiacerebbe. Che canzone stai ascoltando?» le domandò il ragazzo mentre iniziarono a camminare
«La mia playlist dei Coldplay, vuoi una?» gli domandò porgendogli una cuffia.
«Si grazie.» nel momento in cui prese la cuffia le mani dei giovani si sfiorarono, la sensazione di entrambi fu come se, attraverso quel tocco, volessero trasmettersi delle sensazioni di cui forse non erano nemmeno a conoscenza.
«Allora, Federico Bernardeschi... com'è tornare a Coverciano?» interruppe il silenzio cercando di rompere l'imbarazzo che si era creato.
«Beh Sofia Mancini, tornare qui è sempre bello. Indossare la maglia azzurra è un grosso impegno ma allo stesso tempo un grande motivo di orgoglio; per cui si, è molto bello.» Nella voce del ragazzo si percepì un filo di emozione che fece pensare alla ragazza che quando parlava della sua passione era ancora più bello.
«E invece per te?»
«Beh, per me è la prima volta, in più è stata una notizia dell'ultimo minuto. Però sono stata molto contenta quando papà me lo ha proposto; anche se penso me lo abbia chiesto perché non si fida a lasciarmi a casa da sola per tutto questo tempo.» concluse Sofia scherzando.
«Ma tua mamma?»
A quella domanda Sofia si sentì gelare. Istintivamente si bloccò e le venne in mente il viso di sua madre. Non sarebbe riuscita a parlargliene, nonostante sentisse di potersi fidare dentro di lei c'era un enorme blocco.
«Ehi tutto ok?» si fermò anche il ragazzo notandola immobile e stranamente silenziosa
«Ah sisi, è che mi sono dimenticata di dover fare assolutamente una cosa, ci vediamo dopo.» lo salutò allontanandosene il più velocemente possibile.
Appena Sofia arrivò in camera si cambiò e si mise sul letto. Osservò fuori dalla finestra quando una lacrima le percorse la guancia e, senza che se ne rendesse conto, iniziarono a scenderne molte di più. Quel momento fu però interrotto dal bussare di qualcuno alla porta.
«Ehi bellissima.» la salutò l'amico.
«Ciao Fe'.» disse lei notando un gruppo di altri ragazzi dietro di lui.
«Che succede? Stai bene?» le domandò lui abbassando il tono, aveva capito benissimo che c'era qualcosa che la stava facendo piangere.
«No niente, ne parliamo dopo.» a quella risposta Chiesa annuì, sapeva che Sofia aveva i suoi tempi per parlarne, era certo che ci sarebbe stato qualunque esso fosse.
«Scusate, noi dovremmo andare ad allenarci. Ops scusa, piacere Giacomo Raspadori, solo Giacomo.» si presentò un ragazzo seguito poi da altri calciatori come Bonucci, Jorginho, Insigne e Immobile.
«È stato un piacere, ma ora vi lascio andare all'allenamento. Noi ci sentiamo dopo.» concluse la ragazza notando la fretta del gruppo nell'andare agli allenamenti.
Tornò in camera sua e, dopo aver fatto partire la sua playlist, la malinconia tornò. O forse nostalgia, rabbia, non lo sapeva nemmeno lei, l'unica cosa che comprendeva era il suo dolore che stava uscendo tutto in quel momento.
Appena finito l'allenamento il ragazzo si fece una doccia veloce dato che voleva andare a riportare la cuffia a Sofia tuttavia, non appena prese le sue cose, gli squillò il telefono.
«Ehi Veronica.» disse rispondendo alla sua ragazza.
«Finalmente, avevi intenzione di non rispondere?»
«Ero agli allenamenti.»
«Hai sempre qualche scusa pronta.»
«Ma che stai dicendo, non posso mica interrompere gli allenamenti per rispondere. - le rispose mentre si incamminò verso la stanza di Sofia - Si può sapere perché hai chiamato?»
«O ma sentilo, poverino non può mica smettere di giocare per un minuto.»
«Senti è il mio lavoro, se non ti va bene non mi interessa. Basta che non vieni a chiedere a me i soldi per i tuoi capricci. Qualcosa da dire? No perché avrei altro da fare.»
«Certo hai sempre di meglio da fare.»
«Mi stai sempre addosso per i tuoi bisogni e una volta che non rispondo perché sto lavorando mi fai sta scenata? Ma lasciami stare.»
«Vabbè quando hai finito ti richiamo.»
«Perché non mi fai un favore e non mi richiami più? Ciao.» disse chiudendo la telefonata.
Veronica era stata la sua prima ragazza seria, si erano conosciuti al terzo liceo e, dopo vari tira e molla, avevano iniziato una vera relazione. Inizialmente erano la definizione di complicità, uno sguardo tra loro equivaleva a mille parole, con l'andare del tempo però si ruppe qualcosa. Nessuno dei due era riuscito a mettere un punto, forse per comodità o per la voglia non trovata.
Tra i suoi pensieri Federico arrivò alla camera della ragazza, con lei era tutta un'altra cosa. L'aveva sempre in testa, non riusciva a capire perché avesse quell'effetto su di lui. Una cosa sapeva però: era felice che fosse entrata nella sua vita.
Avvicinatosi alla porta sentì della musica, cercò comunque di bussare ma non rispose nessuno, riprovò più forte ma niente; decise così di allontanarsi quando improvvisamente sentì la porta aprirsi.
«Chi è? Ah sei tu, scusa ma stavo...» disse lei cercando di non far notare i suoi occhi gonfi. «Ma no, scusami tu, volevo solo riportarti questa. - le rispose lui porgendole la cuffia. - Stai bene?»
«Sisi, tranquillo.»
«Sarò biondo ma non sono così scemo, ti va di parlarne.» la ragazza negò con la testa ma, prima che potesse chiudere la porta, si ritrovò tra le braccia del biondo. La sensazione che provò la fece sentire strana, ma non in negativo, semplicemente le sembrava strano sentirsi a casa tra quelle braccia.

Il pezzo mancante || Federico Bernardeschi Where stories live. Discover now