01 - Una strana visita

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Cokeworth, Midlands, Gran Bretagna. Agosto 1971

I miei occhi non riescono a staccarsi dalla figura maestosa e stravagante dell'uomo che è seduto di fronte a me, in salotto. Il suo nome è Albus Silente e si tratta senza dubbio dell'individuo più strano che io abbia mai incontrato in vita mia.

È un uomo decisamente vecchio, a giudicare dal candido argento dei capelli e della barba, così lunga da arrivargli fino alla vita. Provo a indovinare la sua età, ma rinuncio quasi subito, intuendo che è un'impresa impossibile.

Mi concentro allora sul suo abbigliamento eccentrico: al posto di un più comune - e normale - abbinamento di camicia, giacca e pantaloni, l'ospite indossa con orgoglio una lunga tunica color viola melanzana, tempestata di simboli dorati che mi saltano all'occhio incomprensibili, ma che anelo in segreto di comprendere.

Ma ciò che più di tutto colpisce la mia attenzione è l'espressione di quest'uomo. Pacata, rassicurante perfino, eppure indecifrabile allo stesso tempo. Tipica di chi si sente perfettamente a proprio agio a sguazzare nell'indiscreta curiosità che traspare dagli sguardi altrui.

Da dietro le lenti a mezzaluna degli occhiali, in equilibrio sul suo naso aquilino, Albus Silente abbraccia con sguardo azzurro e quieto l'intero spazio del salotto, senza curarsi troppo delle occhiate colme di puro interesse di mia madre, né di quelle vagamente sospettose di mio padre.

Entrambi lo scrutano insistenti e col fiato sospeso, in attesa di udire il motivo di quella visita così insolita, dai colori sgargianti e a dir poco fuori dal comune. La loro palpabile tensione risulta essere in netto contrasto con la placida serenità emanata dal vecchio ospite.

«Suppongo vi starete chiedendo a che cosa dobbiate quest'incontro senz'altro inconsueto.» esordisce Albus Silente, con dolcezza, traducendo in parole il tacito dubbio incollato sulle facce dei miei genitori.

E senza dare loro il tempo per ribattere o confermare, prosegue:

«Personalmente credo non esista un modo giusto o sbagliato per spiegare la situazione, pertanto ve lo dirò e basta: vostra figlia Lily è una strega. In lei è presente il raro dono della magia.» annuncia con quella stessa praticità, tinta di una vaga sfumatura di gioia, che si usa quando si comunica a una coppia di neogenitori se il loro nascituro sarà maschio o femmina.

Albus Silente resta poi in silenzio per qualche secondo, giusto il tempo necessario affinché il reale significato delle sue parole si sedimenti nelle coscienze di mio padre e di mia madre.

Lancio loro un'occhiata fugace, per osservare quale effetto ha sortito la notizia. Entrambi condividono la medesima espressione incredula e nei loro occhi riesco a leggere un'unica domanda: nostra figlia una strega... com'è possibile?

Il mio cuore aumenta il ritmo dei suoi battiti, mentre percepisco un'infida ansia insinuarsi nelle vene. Temo la loro reazione.

«La nostra Lily... una strega? Oh, ma è meraviglioso!» cinguetta mia madre, giungendo le mani al petto, in preda a un sincero entusiasmo.

Il mio cuore smette di scalpitare e il respiro riprende a fluire. La mamma sembra essere realmente felice della notizia e io ne sono sollevata.

«Una strega... ne siete proprio certo?» interviene mio padre, con tono preoccupato, come se chiedesse informazioni a un dottore sui sintomi di una sindrome non del tutto conosciuta.

«Assolutamente. Non c'è nessun errore, glielo garantisco.» asserisce Albus Silente, con gentile fermezza.

Tutt'a un tratto, l'attenzione sparpagliata nella stanza converge esclusivamente su di me. La mamma mi osserva ammirata e compiaciuta, quasi avessi appena vinto una medaglia o una borsa di studio per una scuola prestigiosa; il papà, invece, mi setaccia il corpo con perizia, come se quella "magia" che lo strampalato ospite ha nominato avesse lasciato qualche traccia tangibile sulla mia pelle.

I was Lily EvansWhere stories live. Discover now