27. Aaron

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Abby

Esco dall'ufficio di Cornelius dopo aver messo tutto nell'esatto ordine in cui l'ho trovato. Il cuore continua a martellarmi nel petto senza tregua, come se avesse all'improvviso ricominciato a battere per davvero. Sento una sensazione dilagante di ansia aggrovigliarsi attorno alle pareti dello stomaco, così forte che nemmeno riesco a camminare, appena fuori dalla stanza. Rimango per qualche manciata di secondo immobile lungo il corridoio buio, con una mano sopra il petto e l'altra poggiata sul muro freddo, a sostenermi.

L'idea di tornare nella mia stanza mi fa mancare l'aria dai polmoni. Forse perché è l'idea di rinchiudermi da sola in prigione a non andarmi più tanto a genio, o forse perché in questo momento è di schiarirmi per bene le idee che ho bisogno.

Dopo quello che ho letto nel De Rerum Vetitae infatti la mia testa è piena di assurdi pensieri. I dubbi mi hanno assalita all'improvviso, travolgendomi come un tornado sfuggito alle previsioni metereologiche.

Che cosa ho fatto? Cosa sono diventata?

Mi porto le mani sulla fronte e mi mordo il labbro inferiore per non singhiozzare. Non so dove si trovi in questo momento mio padre, ma non posso permettermi di farmi scoprire proprio adesso.

Tuttavia, anziché tornare nella mia stanza, m'incammino lungo il corridoio che porta alle stanze numero due e quattro, spinta dalla voglia di riflettere. La strada la conosco bene ormai, al punto che potrei persino ricordami il numero delle mattonelle che le separano.

Devi trovare un modo uscirne, Abby. Devi provare a mettere in pratica la Coniuctio Mentis. Ogni giorno che passa sei sempre più slegata dalla realtà.

Mi passo una mano sul mento, mentre rifletto tra me e me, e nel frattempo continuo a camminare, sovrappensiero. Senza accorgermene, supero le due stanze in cui sono stata condotta più volte da Cornelius e Russell e mi trovo a proseguire lungo un corridoio più stretto e angusto.

Quando realizzo che mi sto inoltrando in una zona mai visitata di questo rifugio mi blocco e mi volto indietro: riesco ancora a scorgere le lampade accese addosso alle pareti di pietra e in lontananza vedo la porta della mia camera. Tono a fissare avanti a me, realizzando per la prima volta che il corridoio continua, dopo le stanze due e quattro. E l'evidenza è così tanto banale che mi fa restare stupita.

C'è altro dentro questo posto.

A confermare la mia supposizione è un rumore improvviso, proveniente proprio dal fondo del corridoio, dove anche le lampade sono spente. È un rumore di piedi strascinati per terra e di ferro sbattuto. È un rumore di essere vivente.

Spalanco gli occhi stupita e mi guardo ancora una volta indietro, spaventata dal ritrovarmi mio padre alle spalle, furioso. Ma dietro di me non c'è nessuno e la curiosità di scoprire da dove provenga il rumore è troppo alta per farmi tornare indietro. Così mi faccio coraggio con un respiro e continuo ad avanzare, immergendomi completamente nel buio.

Ci sono altre tre stanze di fronte di a me: due poste lungo il corridoio, e una, più grande, alla fine. Mi avvicino piano, cercando di non fare troppo rumore, e appoggio l'orecchio sulle prime due porte che mi trovo lungo il tragitto: all'interno non proviene alcun suono sospetto, ma quando provo ad abbassare la maniglia, la sento bloccata sotto alla mia mano. Sono entrambe chiuse a chiave. Quindi qualcosa da nasconderci, qui dentro, dev'esserci.

Mentre provo ad armeggiare ancora con la maniglia di una delle due porte, sento lo stesso rumore di prima provenire chiaramente dal fondo del corridoio, stavolta più forte e seguito da un lamento.

Lascio andare immediatamente la maniglia e sussulto, spaventata. Mi avvicino alla terza porta, che chiude il corridoio, e senza pensarci due volte provo ad abbassare la maniglia. Con tutta la mia sorpresa, questa non è bloccata, e mi permette di aprire piano la porta, che emette un cigolio timido.

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora