7. Devi Ricordare

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Dove ci eravamo lasciati:

Dopo che Abby lascia la Caserma, spinta dal tradimento da parte di Jared e di tutti i Celesti, viene attirata nel covo di Cornelius, nelle rovine abbandonate di Joyland, il lunapark di Henver. Lì è accolta da suo padre e dal suo scagnozzo, Russell, che la trattano da ospite-prigioniera, forzandola a scordarsi del suo passato umano e a contenere i suoi tentativi di ribellione tramite la somministrazione di medicinali e terapie di elettroshock, fino a farla arrivare al suo limite di sopportazione. L'obiettivo di Cornelius è quello di farle dimenticare del tutto il suo lato umano e indurle un senso di odio nei confronti dei Celesti, per farle sviluppare meglio i suoi poteri demoniaci e sfruttarli a suo favore.

Nel frattempo, nella Caserma, il clima dopo la fuga di Abby e la convocazione a Danville è diventato teso: adesso infatti vagano nella struttura membri degli investigatori Celesti, capitanati da Madison Kane e arruolati dal Consiglio per tenere sotto mira gli abitanti della Caserma e, in particolar modo, Jared, il quale viene visto come potenziale colpevole della fuga di Abby. Nonostante le accuse però, Jared continua a sentire la mancanza di qualcosa ogni giorno che passa, e trascorre notti insonni e piene di incubi per via del ricordo di Abby, che lo aveva obbligato a scordarsi della loro Iunctura, rompendo così il loro legame.    


Jared


Cosa erano quelle urla?

Questa domanda continua a entrarmi e uscirmi dalla testa per tutta la giornata. Ho cercato di scacciarla in ogni modo possibile, da quello meno complicato al più invasivo: mi sono dedicato a una estenuante sessione di allenamenti notturni nella palestra, e ho continuato a tirare pugni al sacco da boxe finché non ho sentito la pelle delle nocche spaccarsi e iniziare a bruciare; nonostante questo, ho continuato ancora, per poi collassare a terra, steso sui tappetini di gomma morbida blu, le tempie che pulsavano a ogni respiro e un senso di nausea sempre più prominente. Sono rimasto sdraiato per mezzora a riprendere fiato, con le mani premute sopra gli occhi, come se ostruirmi la vista bastasse a eliminare tutto quello che la mente riusciva comunque a farmi vedere.

Infatti, nonostante l'abbattente sensazione di stanchezza e il dolore fisico in svariate parti del corpo, il pensiero di quelle grida strazianti percepite nell'ufficio di Clint non mi ha mai abbandonato; restava lì, aggrappato tra un ganglio cerebrale e l'altro, in attesa di essere analizzato dalla parte più cosciente di me.

Così sono passato al metodo più invasivo, ovvero quello che Janise e mia madre scongiurano da quando lei se n'è andata: l'alcool. Una grande dose di alcool, così forte da farmi dimenticare tutto, ogni pensiero, ogni domanda senza risposta, ogni dubbio o paura. Il Gin li ha addormentati, mandandoli in quiescenza per quel poco che bastava a dare un attimo di tregua alla mia mente.

Ogni volta che sentivo un sussurro nella mente – o anche solo ogni volta che mi sembrava di sentirlo – buttavo giù una sorsata di distillato senza pensarci. E così ho continuato senza sosta per due ore, dall'una alle tre del mattino, finché anche il corpo si è saturato di alcool e ha imposto all'ultima parte razionale di me di scansare da quel maledetto comodino la bottiglia ormai semivuota.

Venti minuti dopo sono crollato in un limbo colmo di oblio scuro e tensione elettrica.

La mattina seguente è il rumore della pioggia addosso ai vetri a svegliarmi. E anche se è semplicemente un lieve ticchettio cadenzato, nella mia testa risuona come una serie di sassate contro una lastra spessa di cristallo.

Mi spingo le dita sopra agli occhi e mormoro un'imprecazione tra i denti, con la voce ancora impastata dal sonno e dalla sbornia della notte appena passata. Dalla luce che attraversa le tende e rischiara la stanza posso già capire che è tardi: le undici, forse anche mezzogiorno.

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora