15. La Stanza Numero 4

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Abby 

La stanza numero 4 non dista molto da quella in cui sono stata condotta tutte le volte precedenti. C'è solo una porta metallica separarla, a qualche blando metro di distanza, e deduco che possa essere la numero 3, anche se non ci sono targhette o scritte che ne indichino il nome.

Seguo mio padre e Russell lentamente, senza fretta, e mi assento con la testa mentre li ascolto confabulare piano parole cariche di progetti e assetti organizzativi. È come se prevedessero di arrivare a questo punto della storia, e adesso che ci sono dentro devono mettere in atto diverse strategie per far sì che tutto funzioni come lo avevano immaginato. Cammino a pochi passi da loro, senza curarmi delle loro parole: ormai ho smesso di pensare, di unire i pensieri che capto nell'aria fino a farli diventare processi logici. Ho smesso persino di formulare idee che esulano dalla mia banale vita quotidiana, perché il farlo mi provoca quasi sempre l'esordio di qualche doloroso mal di testa.

E preferisco di lunga una vita di assenze a una che straborda di dolore fisico.

«Vieni, cara, prima di te.» Cornelius mi invita a entrare per prima nella stanza, aprendo a poco a poco la porta, sigillata da un lucchetto rettangolare argentato.

Abbasso lo sguardo con educazione e supero Russell e mio padre, mettendo per prima i piedi dentro la stanza, illuminata da una serie di lampade, anch'esse al neon. Mi guardo attorno, stavolta meno incuriosita rispetto a tutte le altre in cui mi hanno condotta in qualche altro posto di questo bunker. Però, con stupore, mi accorgo che la tanto decantata stanza non è altro che uno spazio vuoto delimitato da quattro pareti spoglie in pietra. Non ci sono finestre comunicanti, né brandine o armadi pieni di medicinali come nella stanza numero due, ma solo mattonelle grigie e umide. Raggiungo il centro della stanza e poi continuo a camminare, osservando ogni centimetro a disposizione. Sfioro con le dita le pareti fredde, reprimendo un brivido veloce dietro al collo. Tutto, qui dentro, è asettico, come se non fosse mai stato toccato da nessuno prima d'ora. Continuo a muovermi in perlustrazione, mentre sento la presenza costante dietro di me di Cornelius e Russell, intenti invece a studiare ogni mia possibile reazione... Come se temessero che da un momento all'altro possa tornare la Abby di prima, quella cattiva e insubordinata.

Raggiungo il centro della parete e mi chino sulle ginocchia, incuriosita dall'unico dettaglio che contraddistingue la stanza numero quattro rispetto a una comunissima stanza vuota: attaccata al muro, a pochi centimetri dal pavimento, c'è una lunga catena pesante arrotolata su se stessa, che termina con una cavigliera di ferro. Prendo in mano qualche anello della catena e lo sfioro con le dita, saggiandone la ruvidità, data sicuramente dal disuso e dalla ruggine. Vivo la scena come se fossi una spettatrice esterna e per la prima volta evito di chiedermi il perché delle cose... Perché mi trovi qui dentro, perché la stanza sia vuota, perché ci sia una catena che prende vita dal muro, nemmeno fossimo in una cella del medioevo. Non mi domando più nulla ormai, ma mi limito a vivere ogni attimo della vita che mi è concessa con totale disinteresse.

Non sento più niente, ormai.

«Questa è per me?», domando tranquillamente, rialzandomi in piedi. Non mi stupirei se mi volessero fare del male fisico ancora. Sono convinta che quello che mi è stato fatto nell'altra stanza non sia il primo né l'ultimo trattamento di favore che mi spetta qui dentro. L'unica differenza rispetto a prima è che adesso non ho più paura.

«No», risponde Cornelius, sorridendo, le braccia incrociate attorno al petto.

«Okay.» Faccio un altro giro su me stessa, fisso le luci al neon e una ragnatela nera che prende vita da una delle lampade, e torno ad avvicinarmi alle mie due guide. «Questa stanza è vuota.»

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora