6. Spegnersi.

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Abby. 

Sbatto le palpebre, come catapultata per la prima volta nella realtà. Come realizzandone per la prima volta il senso.

Delle mani che mi sfiorano, un rivolo liquido che cola giù dalla tempia, così freddo da graffiarmi la pelle, le mani, le mani che mi sfiorano ovunque. Sussurri e parole, le unghie avvinghiate sul legno della sedia e le schegge a perforarmi i polpastrelli. Delle immagini, una scossa, il vuoto.

50, Russell.

«No.» Scuoto la testa, il respiro rotto in tanti piccoli sospiri affannati. «Ho capito tutto... Ho capito tutto!»

«Vuoi muoverti, Russell?» Cornelius mi spinge sulla sedia e mi obbliga a mantenere una postura rigida e scomoda, con la schiena ben eretta e la testa poggiata sullo schienale di legno. Prima che possa opporre resistenza, fa scattare dei manicotti metallici attorno ai miei polsi, spessi e gelidi. L'attimo dopo mi vengono bloccate anche le caviglie, in modo tale che possa guardare solo avanti a me senza muovermi di un centimetro.

Con gli occhi sbarrati per la paura e il cuore che mi martella nel petto, faccio vagare gli occhi da un lato all'altro della stanza, cercando di capire quale sarà la loro prossima mossa.

Russell si apposta accanto a me con un carrellino alto poco più di un metro, sul quale è poggiato un piccolo macchinario attaccato a dei cavi scuri. Sul monitor lampeggiano dei numeri e in sottofondo si sente un leggero ronzio costante. Mio padre si avvicina e afferra i due fili che escono dal macchinario, sorridendo senza nasconderlo, e mentre Russell impregna una salvietta di stoffa con un liquido trasparente, lui mi accarezza i capelli, veemente.

«Non avere paura» mi dice. «La paura è per i deboli.»

Lo guardo in silenzio, senza aggiungere una sola parola. Lo guardo assorta, persa in una miriade di pensieri intrisi di pietà e collera. Lo guardo, e nei miei occhi brilla una sola, debole certezza: subirai quello che farai subire a me.

Russell mi bagna entrambe le tempie con la stoffa umida, poi ci applica sopra due ventose, collegate all'estremità dei cavi del macchinario. Una volta terminato questo breve preparativo, si allontana con un passo svelto da me e raggiunge il lato del carrello portaoggetti. «Siamo pronti, signore.»

Cornelius annuisce, ancora di fronte a me, e mi fissa un'altra volta negli occhi, brillanti e iniettati di rosso. «Quello che faccio, Abby, lo faccio per il nostro bene. Un giorno mi ringrazierai.»

Sospiro e chino la testa. «Che cosa... Che cosa mi farete?»

«Ti libereremo.»

«Sentirò del male?»

Mio padre mi lascia un bacio sulla fronte e indietreggia. «No. Non sentirai più nulla.» Con il mento lancia un cenno sbrigativo a Russell, che annuisce e sorride. «50, Russell.»

«Sì, signore.»

Adesso il ronzio diventa più percepibile e fastidioso. Non faccio in tempo a sbattere le palpebre che sento un pizzicore prendermi vita dentro al corpo, sotto alla pelle, nella profondità di ogni atomo che mi compone. È qualcosa di doloroso ed esaltante allo stesso tempo. La vista si annebbia per qualche secondo e vorrei urlare di smetterla, di spegnere quel macchinario e di lasciarmi andare. Ma non ci riesco. Rimango con i denti stretti, la lingua incastrata nel palato e i pugni delle mani chiusi. Dopo qualche secondo la scossa si affievolisce, e con lei anche la mia tensione, che abbandona il corpo lasciandomi quasi del tutto inerme, la testa leggermente inclinata da un lato, le tempie bollenti e il tremolio che si irradia in ogni arto.

«Abby.» È la voce di mio padre a chiamarmi. È debole, lontana. Assomiglia a un eco frastornato. «Abby.»

Rimango immobile e sollevo un angolo della bocca. «S-sì?»

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora