1. Annichilimento.

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Abby


Henver, due settimane dopo.

Annichilimento.

Perdita di volontà e di capacità di reazione.

Annullamento.

I pensieri si librano nella mente e irradiano ogni punto del mio corpo, mentre sto seduta con la schiena rigida di fronte a una scrivania scarna, lo sguardo fisso nel vuoto più angusto. Le assi in legno emanano un terribile odore di marcio e di tanto in tanto qualche goccia di umidità cola dal soffitto, tuffandosi in piccoli ristagni d'acqua sul pavimento.

Non sento niente.

La gabbia in cui sono stata rinchiusa dopo il mio arrivo non ha oggetti familiari o finestre, ma un solo letto, un armadio, una sedia e una scrivania. La porta ha una serratura esterna che rimane sempre sbloccata, ma anche se sono libera di entrare o uscire quando voglio, non basta a non farmi sentire imprigionata sotto terra, piantata nelle radici di Henver, distante centinaia di metri dalla luce del sole.

Sono in gabbia.

Qui sotto è sempre buio. Il sole non nasce e non tramonta mai, mentre dal soffitto - il mio cielo personale - non smettono di cadere gocce di infiltrazioni. Il freddo è pungente e ti si infila sotto alla pelle, nelle ossa, dritto nei tuoi punti più vulnerabili.

Mi sfilo lentamente il giacchetto di lana scura e lo lascio scivolare a terra. Le mani mi tremano, mentre mi sfioro la pelle pallida degli avambracci, percossa da un brivido improvviso. Resisto alla tentazione di allontanare le dita ghiacciate dal mio corpo e punto le unghie dritte nel punto più sensibile: i polsi sono ancora arrossati, segnati da una linea rosso sangue in rilievo. Li tocco e spingo sulla ferita, reprimendo un gemito quasi impercettibile.

Il freddo mi fa sentire viva. Il dolore mi fa sentire viva.

«Sono... viva» inizio a ripetermi a bassa voce, ondeggiando la testa avanti e indietro. I capelli, ramati e sporchi, mi coprono la schiena. Ogni parte di me è pallida: il volto, il corpo, l'animo. Sono sbiadita all'improvviso. Ho iniziato a perdere colore nel momento in cui mi sono allontanata dalla Caserma. Ma quando sono arrivata quaggiù... quando sono arrivata quaggiù, sono diventata grigia, traslucida. Quasi inconsistente. Ed è stata opera loro. Sono stati loro a ridurmi in questo stato. Sono stati loro. Loro.

Il braccio.

È l'ora del test, Abby.

Hai di nuovo disobbedito.

La medicina.

50, Russell.

«Sono stati loro.» Fisso la parete e stringo i pugni, in cerca di una reazione – una qualsiasi reazione – che mi faccia svegliare dall'intorpidimento psichico e fisico... Questo sonno emotivo che mi spegne la luce negli occhi e bombarda ogni piccolo atomo di entusiasmo che mi circola nel sangue.

Sono morta. Respiro, mangio e vedo ancora, ma sono morta dentro.

Abby Lorelaine è morta.

Mi alzo in piedi e calpesto il giacchetto nero con i piedi. Sono scalza, ma voglio sentire appieno il freddo delle mattonelle di pietra attraversarmi la pelle. Il freddo mi aiuta a ricordare dettagli sempre più sfuggenti... Pensieri che un tempo erano miei, ma che adesso si diradano nell'aria come un gas incolore.

Chi mi sono lasciata alle spalle? Che cosa sto facendo qui?

Queste semplici domande mi aiutano a restare aggrappata a una realtà spenta. Una risposta non ce l'ho, ma il solo pensarci mi provoca una piccola scossa alla base della nuca... una sorta di input elettrico.

Hybrid - Legami SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora