5. Broken Wire

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«Voglio ucciderla».

«Non puoi. Non tu».

Sentivo il cervello liquefarsi ogni volta che inspiravo, e condensarsi quando espiravo. Non provai nemmeno a muovermi, in quello stato di limbo era come se la mia mente fosse separata dal mio corpo. Forse era meglio sembrare ancora addormentata, cercando di origliare il più possibile.

Cosa diamine era successo? Brandelli di ricordi vorticavano nella mia mente, senza però essere in grado di riunirli nel filo logico della mia memoria.

Paura, dolore... sentivo ancora un fastidioso prurito sul collo, anche se non riuscivo a collegarlo a niente.

«Quando si sveglierà?», chiese una voce impaziente, carica di rabbia.

«Oh, ma è già sveglia, non è vero?». Merda! Il respiro mi si mozzò nella gola; avevo due possibilità: continuare la farsa oppure approfittarne e tendere loro - sapevo ormai chi c'era di fronte a me - un attacco a sorpresa. Forse sarebbe stata la mia unica occasione per fuggire.

Provai a muovere le dita, accorgendomi di essere ripiombata nella realtà. Perfetto, pensai. Aprii gli occhi e agguantai un oggetto metallico di fronte a me.

Sorrisi, e con tutta l'adrenalina che avevo in corpo mi alzai dal letto, scaraventandomi contro la prima figura presente nel mio campo visivo, ovvero il ragazzo, che mi fissava scioccato, boccheggiando.

«Ferma dove sei», gracchiò la stessa, dannata, voce. Un secondo dopo mi ritrovai seduta forzatamente su una sedia, di fronte ad un piccolo tavolino da te'. La stanza era vicino al tetto, le pareti erano finestre che lasciavano intravedere il cielo terso. Era mattino.

«Cosa volete da me, psicopatici?», ringhiai osservando di fronte a me le due figure, notando che avevano gli stessi occhi. «È suo nipote, non è vero? Perché ha finto di essere una serva?», chiesi carica di rabbia, guardando con disprezzo la donna arcigna.

«Domande superflue.», tagliò corto. «Ciò che mi preme sapere è: perché tu esisti?», domandò, allungando il busto verso la mia direzione.

«Cosa?», sbottai, ma ovviamente non ottenni risposta.

«Perché tu, umana, sei riuscita ad annodare in modo così... confuso i fili dell'universo?», continuò. «Non è bizzarro, tesoro?», chiese al ragazzo, che mi linciava con lo sguardo.

«Sì.», rispose asciutto. «Ma muoviamoci. Non abbiamo tempo per le chiacchiere».

«Ma la nostra ospite ha il diritto di sapere», lo stuzzicò. «Ebbene, noi siamo qui per un preciso motivo: garantire la salvezza della nostra famiglia, del nostro onore. Non importa a quale prezzo. Tu sei un intralcio, un terribile equivoco», concluse pacata, sistemandosi meglio sullo schienale della sedia.

«State sbagliando persona», esalai, deglutendo con fatica: avevo la gola secca. Quando fui in procinto di alzarmi, l'anziana signora rise.

«È chiusa a chiave», mormorò euforica. Il mio stomaco si strinse, mentre abbassavo la testa e stringevo con forza il pomello dorato. Era vero.

«Cosa volete da me?!», urlai, con ormai le lacrime agli occhi.

«Ti spiegherò l'intera storia», affermò lei - l'unica che parlava. «Nel lontano 1897, la vita qui al maniero scorreva tranquilla, in allegria. La matriarca era, dopo tanti anni, finalmente serena nel vedere suo nipote fidanzato con la fanciulla più promettente della famiglia Baudelaire. Ricca, beneducata, gentile, potente. Cosa si poteva sperare di meglio?», chiese retorica. «Ma poi, un terribile giorno di dicembre, successe qualcosa. Un filo era stato infranto, e quando un filo si infrange, avviene una reazione a catena nell'universo, che crea il caos. Destini spezzati, passato e presente che non hanno più nessuna differenza. Capisci, vero?», domandò verso di me. «La giovane Helene - così si chiamava - iniziò a soffrire di una tubercolosi sempre più intensa, inspiegabile ai medici; ma noi sapevamo bene cosa stava succedendo, non è vero caro? L'universo la stava rigettando», continuò tranquilla osservando il nipote, ridotto ormai ad una maschera di pietra. «Riconducemmo quei fili spezzati, fino a che non incontrammo te, cara. Perché non possono esistere due Helene Baudelaire nell'universo, in qualsiasi contesto spazio-temporale».

Ero atterrita, non riuscivo a connettere più nessuna sillaba al mio cervello, che rifiutava tutto. Era uno scherzo.

«Tu non saresti dovuta esistere!», ringhiò il ragazzo nella mia direzione. «Eravamo felici! Eravamo felici...». Si mise le mani sul viso, nascondendo una vera e propria disperazione.

«Ha ragione. Sei un errore dell'universo», continuò pacata la donna. «Perciò, umana, ciò che devi fare è una sola cosa: espiare i tuoi peccati e i tuoi torti nei confronti della nostra nobile famiglia». Infilò la mano nel suo ampio abito, tirando fuori un pregiato stiletto di ossidiana lavorata. Lo puntò sul tavolo con naturalezza.

«Siete pazzi!», gridai, sbattendo la porta per cercare di aprirla. «Non lo farò mai! Mai!», continuai ad urlare.

«O ti uccidi adesso, oppure morirai di stenti in questa stanza. A te la scelta.», aggiunse, con la sicurezza di avere la situazione sotto controllo.

Sentii il chiavistello girarsi, e quando vidi la chioma fiammeggiante della mia amica fare capolino dalla stanza, sentii il cuore esplodere dalla felicità e dal sollievo.

«Anne...», mugugnai, cercando di trattenere singhiozzi di liberazione.

«Non precipitiamo le cose», sospirò, sedendosi accanto a me. «è davvero l'unica soluzione?».

«Devo dedurre un cambio della tua lealtà?», chiese la vecchia, versandosi del te' bollente nella tazza. Cosa... che significava?

«Assolutamente no. È ovvio che sacrificherei volentieri questa semplice umana per Helene, mi chiedevo solo se c'era bisogno di un altro spargimento di sangue».

Andai in mille pezzi. Colei che avevo considerato una vera amica... aveva davvero questa considerazione di me? Semplice umana... mi si spezzò il cuore.

Traditrice. Riuscivo a formulare solo questo pensiero, mentre la tristezza e il dolore lasciavano spazio ad una ben più definita rabbia e frustrazione.

Sfiorai con la punta dell'indice la lama del coltello, accorgendomi che era affilatissima. Una goccia di sangue scivolò lungo il metallo, andando a finire sul tavolo.

Estrassi il pugnale dal legno, con una determinazione mai posseduta in tutta la mia vita.

«Stai facendo la scelta giusta», mormorò la donna, con un sorriso compiaciuto stampato sul volto.

«Non ne ho dubbi», risposi, maneggiando la lama e prendendo confidenza con essa.

La rivolsi verso i tre, che sgranarono gli occhi, osservando il mio inaspettato gesto.

«Ora io me ne andrò di qui, e nessuno di voi tre mi cercherà mai più.», ringhiai, rivolgendomi in particolare ad Anne. «Fate un solo passo, e giuro che vi pianto questo maledetto pugnale in gola», mormorai a denti stretti, continuando ad arretrare. Fortunatamente erano tutti nel mio campo visivo, così potevo almeno evitare di preoccuparmi di possibili attacchi alle spalle.

Aprii la porta senza mai voltarmi, continuando ad osservarli quasi ossessivamente. Che stupida... Anne si era dimenticata di chiuderla a chiave, quando era rientrata.

Corsi via, corsi per minuti, ore, forse giorni. Corsi finché non ebbi più aria dei polmoni, corsi finché non mi ritrovai di fronte all'immenso lago di Loch Ness e gridai, spazzando via il confine fra cielo e terra, tra la mia mente e il mio corpo.

Perché proprio io? Io, il cui unico peccato era essere nata, avrei dovuto rinunciare al dono della vita, datomi sedici anni fa? Era giusto farlo?

Non trovai risposta.

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Scusate, sono in ritardissimo! Domani, per farmi perdonare, provo a pubblicarne un altro :)

~Marghe🌺

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