10. Photos and knives

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Lasciai cadere la mascella giù, formando un'espressione ai limiti del sorpreso. Sorpresa e disgustata, ecco cos'ero, non avevo parole.

Quella donna mi aveva sfruttata fin dall'inizio! Anche lei voleva che io morissi, piagnucolai dentro di me. Mi sentivo così stupida e ingenua.

«Non è come pensi», cercò di dire, osservando la mia espressione semplice da decifrare.

«Ah no?» gridai quasi. «Mi hai ingannata, fin dall'inizio! Ora vuoi uccidermi?» domandai retorica, indicandomi. «Mi spiace, credo dovrai metterti in lista d'attesa!» Quello era un tradimento, un vero e proprio tradimento. «Adesso basta, andrò al castello e porrò fine a questa storia», ringhiai, alzandomi e scansando bruscamente il piatto di uova fumante di fronte a me.

«Non credo sia una buona idea», propose, ma il tono della sua voce era piatto.

«Scommetto che c'è una taglia sulla mia testa!» Se ci fosse stata davvero non mi sarei sorpresa più di tanto.

«Sciocca ragazzina... appena varcherai la soglia di quel castello, il tuo destino sarà irrimediabilmente segnato», mi urlò, mentre mi accingevo a raggiungere l'uscita del locale. Nel frattempo, i commensali avevano ripreso le loro attività.

Mi bloccai sulla soglia della porta. «Che cosa significa?» domandai, rimanendo immobile a fissare un punto nel vuoto di fronte a me.

«Se entrerai lì dentro... ucciderai Anne, la tua amica».

Mi voltai scioccata, fissandola con gli occhi sgranati. «Lei non esiste ancora», sussurrai, avvicinandomi sicura a lei.

Piegò le sue labbra all'insù, cucendole in un forzato sorriso. «Tu credi?» domandò, come se fosse una paziente maestra e io la sua alunna. «Anne Curtis, sorella di uno dei lord più influenti della zona, seconda erede della sua famiglia. Per chi mi hai preso, per una sprovveduta?» domandò con stizza, facendo ticchettare le dita arcuate sopra il bancone di legno corroso. Alzò le sopracciglia fini, dando vita a una probabile espressione sorpresa: la sua pelle era tesa, sembrava più giovane di quello che in realtà era. Quanti anni aveva? Sessanta, settanta?

Non riuscii comunque a concentrarmi sul suo viso, poiché quel flebile pensiero fu spazzato via da una furia tempestosa, irruente e selvaggia catena di ragionamenti spezzati: ero troppo scioccata per elaborare qualcosa che non fosse: "È uno scherzo?"

Lei apparteneva a quest'epoca? Si era sempre schierata con gli altri, perché erano coevi. Che sciocca! Non potei fare a meno di sprofondare nella vergogna, rendendomi conto che Anne, in fondo, mi aveva sempre osservato con quello sguardo: un misto di compassione e disgusto, lo sguardo che si regala ad un vitellino pronto per il macello. O forse era solo la mia immaginazione? Mi stavo lasciando condizionare, manipolando i miei ricordi? Ora ero confusa.

«Stai mentendo», replicai dopo una lunga pausa, ingoiando un groppo di saliva. Tremavo a ritmo frenetico, minuscoli e nervosi spasmi percorrevano il mio corpo in tensione. Avevo le lacrime agli occhi, perché se davvero fosse stato così, se davvero mi avesse usato, il mio cuore si sarebbe frantumato all'istante.

«Lo vorresti», ribatté all'istante, come se si aspettasse la mia precedente affermazione. In fin dei conti quella era la donna che si era preparata un fazzoletto imbevuto di disinfettante chissà quanto tempo prima. «E posso provartelo», concluse risoluta, ondeggiando dietro il bancone e piegandosi al di sotto di esso, armeggiando tra i vari ripiani di stoviglie - a giudicare del chiaro rumore di piatti che cozzavano tra loro.

Si rialzò con difficoltà, tenendo premuta la mano sulla parte della bassa della schiena. Con l'altra mano, mi allungò tremante un pezzo di carta, con i bordi frastagliati. Sembrava... era una foto.

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