8. Get the chance

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Il cielo era dipinto di un insolito blu metallico, così profondo da sembrare notte. Il sole, invece, si nascondeva dietro spesse nubi plumbee.

Ero... ero viva! Cos'era successo? Stesi il braccio accanto a me, sentendo la fresca erbetta solleticarmi il palmo della mano. Dove mi trovavo?

«Signorina... vi sentite bene?». Alzai lo sguardo, osservando un signore di circa trent'anni vestito in un modo alquanto strano: portava un paio di basette e un cilindro di velluto nero sul capo. Aveva una giacca pesante, simile a un doppio petto. Portava un bastone da passeggio, nonostante non ne avesse minimamente bisogno.

Mi guardai intorno, constatando che ero ancora nello stesso identico cimitero, che questa volta brulicava di gente, vestita tutta nello stesso, identico, modo.    

«Milady?», insistette. Posai nuovamente il mio sguardo su di lui, con il fiato mozzato in gola, mentre la mia mente formulava ipotesi assurde.

«Che anno è questo?», chiesi con voce sottile, avendo paura della risposta.

L'uomo sussultò. «L'anno corrente è il 1897».

Credetti di svenire.     

Sentivo il sangue pulsare nelle mie orecchie, in ogni parte del mio corpo, lo sentivo districarsi, farsi strada nei più sottili capillari delle mie dita. Avevo forti conati di vomito.

Mi voltai e iniziai subito a toccare, ritoccare la lapide vicino alla quale ero seduta. «Andiamo...», mugugnai, dando spintoni alla pietra. Ma il nome inciso era diverso, la donna seppellita sotto quella terra ghiacciata non era più Helene Baudelaire, ma una signora morta agli inizi del secolo.

Ma certo... che stupida. Helene non era ancora morta in quel periodo. Mi alzai, ansimante, con uno sguardo diverso stampato nelle mie iridi.

Allora le avrei dato il colpo di grazia.

«Basta, per l'amor del cielo!», tuonò l'uomo, rimasto a  fissare la mia reazione, disgustato e sorpreso. «Cosa vi ha fatto quella povera donna per infiammare così il vostro animo? Abbiate rispetto dei morti».

Non gli prestai minimamente attenzione, tenendo lo sguardo di fronte a me, dove la maggior parte dei visitatori mi fissava sconcertata.   

Era assurdo, un orribile incubo. Come potevo risvegliarmi da esso? Forse, quando quella inutile ragazzina sarebbe stata sepolta in quella tomba a marcire per l'eternità, forse lì sarei potuta ritornare a casa.

Era una possibilità. Era l'unica possibilità.

«Sapete dove alloggia Helene Baudelaire?», domandai, spazzolandomi i jeans per togliere la terra in eccesso; senza volerlo, gli avevo dato del 'voi'.

«Siete dunque una sua parente? In effetti siete due gocce d'acqua», constatò, sistemandosi meglio la tuba sulla testa.

«Notizia strabiliante. Vog--». Mi bloccai, con un'idea geniale che mi frullava nel cervello. Quale miglior posto per una fidanzata ricca se non dipendere dal suo altrettanto ricco e stupido fidanzatino? «E sapete invece dove vive un ragazzino, mhm... lentiggini, capelli scuri, occhi chiari, non proprio bello?», chiesi ancora. Non ricordavo la strada a ritroso da lì al castello.

Lui sussultò. «Ma state parlando di Lord Sherborn!», esclamò.

«Precisamente. Allora?», domandai impaziente, con un fremito. Prima avrei concluso quella questione, prima sarei potuta ritornare a casa dalla mia famiglia.

«Non potete presentarvi a casa sua senza un invito ufficiale», obiettò, guardandomi con quei suoi occhietti infossati.

«Per l'invito non preoccupatevi, devo solo conoscerne l'ubicazione», cercai di tagliare corto, ma l'uomo non mollava.

«Avrete bisogno di un abbigliamento adeguato», continuò, con aria trasognante. «Quale donna porta i pantaloni?», chiese con un'aria stizzosa nella voce.

«Scusate, ma chi siete?», domandai scettica. «Io non vi conosco, non mi pare siano affari vostri», borbottai, legandomi i capelli in una coda. Perché si interessava tanto a me? Forse perché ero una ragazzina, o forse perché gli avevo appena dato la conferma di possedere un biglietto d'ingresso per quel posto tanto agognato. Pensava fossi una nobile... una nobile a cui magari, in futuro, avrebbe potuto chiedere dei favori. «Quanto è importante la famiglia Sherbon?», chiesi, giusto per avere una panoramica della situazione. «E i Baudelaire?».

«La loro influenza è immensa, si estende fino ad Edimburgo. I Baudelaire invece posseggono forti legami con la Francia». Un'unione di interessi, dunque. Ovviamente.

Insomma, chi si sarebbe messo con quella lì per un sentimento reale? Era petulante, stucchevole e fastidiosa.

Nonostante non l'avessi mai conosciuta, provavo un profondo disprezzo verso quella ragazza. Si era infiltrata nella mia vita con prepotenza, mettendo me stessa in secondo piano. Perché tutti si affannavano per una ragazza che sarebbe morta lo stesso? Perché nessuno si preoccupava di me?Valevo davvero così poco?

Volevo essere importante per le persone, volevo che lottassero per me. Forse ero solo invidiosa di lei, che mi aveva rubato tutto.

Dovevo assolutamente andare in fondo alla questione.  Magari potevo essere sprofondata in un delirio onirico della mia mente, magari stavo sognando. Ero stata coinvolta in un evento più grande di me, io non centravo niente!
Confusione, smarrimento e profonda paura mi stavano devastando. Era contro le leggi della scienza ritrovarsi improvvisamente più di cento anni indietro nel tempo. Ma allora come si spiegavano le persone vestite in modo strano, il coltello, il buco nero... il buco nero! Tutto era iniziato da quello strano sogno, ma date le circostanze, dubitavo che fosse stato frutto della mia mente.

«Io...», balbettai. Sentivo il cervello colare dalle mie orecchie per il troppo sforzo mentale.«Devo vedere Lord Sherborn!», urlai con enfasi, battendo un pugno su una lapide. Uno stormo di corvi si alzò in volo, ma non ebbi tempo di sprofondare nella vergogna per la figuraccia appena fatta; una voce mi paralizzò, era conosciuta, fin troppo.

«Allora avrai bisogno... di me». Mi voltai, osservando una vecchia signora dagli occhi color mirtillo sostare vicino al cancello; non riuscì neanche a fare un passo in avanti che iniziai ad urlare in un modo disumano, cadendo all'indietro.

«Stai lontana!», gridai arrancando, mentre le mie mani tremavano a vista d'occhio.

«Oh, povera piccola. Abituata a tanta cattiveria, non sei più in grado di riconoscere ciò che è vero da ciò che è falso». Continuò a camminare con passi lenti e misurati, fino a che non mi fu davanti. Mi porse la mano. «Io non sono mia sorella», concluse, facendomi quasi sciogliere al suolo. Lei non era la vecchia cattiva... lei era la signora della locanda, che nel mio presente sembrava fuori di testa. Cosa mi aveva detto? "Non superare il limite, se non vuoi finire morta come gli altri"... o comunque una cosa del genere. La osservai dal basso, ora sembrava normale. Anche il suo occhio sinistro era ceruleo come l'altro.

«Tu... anche tu mi vuoi uccidere?», chiesi, con gli occhi ancora sgranati dal terrore; come potevo avere la certezza della sincerità di questa donna? Potevo fidarmi?

«No», rispose; a quel punto decisi di afferrare la sua mano ancora tesa. Non sapevo se avessi riposto la mia fiducia nel posto giusto, ma non avevo scelta. Dovevo ritornare a casa. «Seguimi, andremo in un luogo in cui potrai riposare e rifocillarti», concluse, incamminandosi verso l'uscita del cimitero, facendomi segno di seguirla.

Forse avevo una chance, una minuscola e invisibile possibilità di ritornare alla mia vita precedente.
Avrei fatto di tutto per coglierla.

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Scusate, scusate scusate per il ritardo D: la prossima volta mi farò perdonare, promesso! :)

~Marghe

BlackholeOnde histórias criam vida. Descubra agora