11. One, two, three

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Il cielo si scurì, lasciando spazio ad una notte gelida e in balia delle intemperie. Il piccolo villaggio di Dòmhnall era avvolto nell'oscurità, visibile solo grazie alle flebili luci emanate dalle lampade ad olio. Le abitazioni erano piombate in un silenzio quasi religioso, lacerato dal chiasso che si espandeva nell'unico locale presente.

Louise Baudelaire sospirò, passando per la quinta volta lo straccio lercio, con vigorosi gesti, sul bancone di legno marcio. Un orribile odore acre attirò la sua attenzione, rivolgendola di fronte a sé: Angus protendeva il bicchiere vuoto verso di lei con fare tremante; i suoi occhi erano acquosi e distanti, sul suo viso era presente un sorriso inebetito, segno che la sua mente era già stata annebbiata dai fumi dell'alcol parecchio tempo prima. Era più giovane di lei, ma il viso scavato e dimagrito per il suo alcolismo e la sua tossicodipendenza - quell'idiota aveva una propensione verso la cocaina - lo invecchiava di almeno un decennio. «Versamene un altro po', dolcezza», raspò, additando la bottiglia di whisky dietro di lei.

«Scordatelo, sei già in condizioni pietose», iniziò la donna, riponendo per sicurezza il liquore nel ripiano sovrastante. «Il locale è mio, ci vado di mezzo io se voi, falliti, vi scannate perché siete troppo ubriachi anche per pensare».

Lui si avvicinò, avvolgendo il viso di Louise con il suo maleodorante alito. «Ma tu chi cazzo ti credi di essere?» ringhiò proprio di fronte a lei. «Versamene un altro!» urlò, il suo grido soffocato in parte dal rumore attorno a lui.

«Sono colei che ti sbatterà fuori a calci nel culo», rispose la donna a denti stretti. «Tutti fuori! Ho appena chiuso!» gridò a gran voce. Numerosi boati di disapprovazione inondarono l'aria come un fiume in piena, ma Louise non si lasciò sconvolgere: il suo viso rimase impassibile, trasmettendo la stessa forza di quando aveva avuto appena vent'anni.

Mentre tutti lasciavano il locale, pensò a quella povera bambina. Non meritava tutto questo, eppure... il fato muoveva i suoi fili a proprio piacimento, il destino della ragazza stava per giungere a compimento. Perfino per la donna aveva in serbo qualcosa: forse quell'intrecciarsi e districarsi di eventi avrebbe avuto fine. Almeno per lei.

Il locale, ormai deserto, aveva un non so che di cupo, la stessa atmosfera di una festa appena conclusa: triste, priva di vita. Louise accennò un sorriso, dando mentalmente inizio al conto alla rovescia.

Uno, contò, osservando la finestra serrata precedentemente aprirsi sotto il peso di una raffica di vento.

Due, andò a chiuderla, notando come ogni volta il gatto che era appena scappato. «Stupida palla di pelo», raspò, arrancando all'infuori del locale e seguendo il micio, proprio di fronte alla finestra spenta di un'abitazione. Abbassatasi verso terra, la luce alle sue spalle si accese. Quando si rialzò la sua ombra venne proiettata sulla parete adiacente a dimensioni maggiori. La donna all'interno della casa iniziò a strillare, catturando l'attenzione del vicinato. Nessuno però si presentò, e dopo un: «Muori vecchia strega», sussurrato a denti stretti dalla donna, la questione parve spegnersi lì.

Tre.

«Che piacere rivederti, zietta», sussurrò placidamente una voce alle sue spalle. Louise non si scompose, voltandosi dietro di lei.

«Hai sentito l'urlo, non è così?» domandò lei pacata, portandosi le mani in grembo. Eppure... perché il suo cuore batteva così forte?

«Ovviamente. Credo che entrambi lo sappiamo; perciò, evita inutili preamboli», ribatté l'altro, avvicinandosi a lei di un passo.

«Evan, Evan... sei sempre stato uno stupido ragazzino, tua madre era così delusa da te», affermò Louise, circumnavigandolo e ponendosi alle sue spalle. Continuò ad arretrare, finché un dosso, il dosso, la fece ruzzolare per terra.

BlackholeWhere stories live. Discover now