6. Lo Skylab

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22:21 – Monica

20 Settembre 2003. Sabato sera.

Siamo in Via Fogazzaro. Appoggiata con una spalla alla cabina dell'Enel, Monica tiene le braccia incrociate sul petto e guarda la rappezzatura sull'asfalto, di fronte a sé, in un punto illuminato dal lampione spiovente, nel bel mezzo dell'oscurità della sera.

Un gatto randagio di nome Roger la osserva di spalle dal tetto in cemento della casupola. Lei sfila il cellulare dalla borsa per controllare l'ora.

Non c'è nessun altro mammifero, nelle vicinanze. Solo loro due.

Questo, almeno finché i fasci di luce proiettati dai fanali di una Škoda Felicia non compaiono da dietro una curva per rischiarare il muretto che delimita la proprietà di fronte alla casa degli Orsini. Un pezzo degli Alice in Chains giunge attutito dall'abitacolo. Quando l'auto mette la freccia a sinistra e accosta in uno spiazzo petroso, le ruote gracchiano sulla ghiaia.

L'apparizione suscita un certo interesse, sia nel gatto, sia nell'umana. Ma è solo quest'ultima a distaccarsi dalla cabina e a decidere di attraversare la strada.

Il finestrino al lato del passeggero si abbassa per metà, la musica sfugge dalla fessura e invade l'ambiente esterno.

– Ehi. Ma dov'è Rengie? – I suoi capelli, lunghi e neri come il petrolio, le ricadono di fronte al petto mentre, chinata, squadra accigliata la sagoma del diciannovenne alla guida.

– A casa, – risponde la voce maschile.

Monica è un po' confusa. – Ma come...? Non dovevate cenare insieme?

– Uh? – Il ragazzo porta la mano sinistra sulla manopola dell'autoradio e il volume di Grind, da ventitré tacche, si riduce di colpo a quattro.

– Su dai tuoi, cena insieme...

– Ah! No, no. Quello è domani sera. Domani sera ceniamo insieme.

Monica dischiude appena le labbra e aspira dell'aria tra i denti. – Pensavo fossi con lei. – Dal tono, sembra quasi senta il bisogno di scusarsi.

Luca Zenobio, anche lui con i capelli lunghi e lisci, ma castani, guarda perplesso la sua posa curva, bloccata al centro della carreggiata. – La passiamo a prendere adesso, – le dice, con la faccia e il tono di chi non capisce quale sia il problema. – Dai, sali.

Monica ci riflette per qualche secondo, poi si sposta d'un passo verso il retro del veicolo, apre lo sportello e si intrufola dietro al conducente. Il finestrino si richiude, il volume dello stereo si rialza fino a un tredici modesto. Poi Luca rimette in moto.

– Scusa, pensavo foste insieme, per questo ho scritto il messaggio a te, – si giustifica, senza che nessuno gliel'abbia chiesto. Nel frattempo, tira giù la zip del chiodo di pelle, se lo sfila e lo lascia appallottolato sul sedile, accanto a sé. – È che mi doveva dare uno strappo il mi' fratello, quel coglione... ma all'ultimo minuto mi ha detto che non poteva più, e allora...

– Sì, va be', tanto se avessi scritto a Rengie era uguale, no? – replica Luca, senza lasciarla finire. –Quello con la patente sono comunque io. – E, prima di svoltare a destra, lancia un'occhiata attraverso lo specchietto retrovisore. Monica vede le sue sopracciglia corrugarsi nel vetro. – Oh, bella maglietta! – le dice, con voce strascicata. – Ma... li ascolti davvero, i Behemoth? – E c'è una punta di sarcasmo nella sua domanda.

D'istinto Monica china il viso e guarda la stampa del suo top nero, la figura biblica, i caratteri gotici sotto alla croce rovesciata che porta al collo. Poi rialza il mento, piena d'orgoglio, fulmina l'altro attraverso il riflesso, e sta per rispondergli che li ascolta sì, che non è una poser, lei, e che è meglio se abbassi la cresta, perché in casa Orsini il metal si ascolta dagli anni Settanta, cioè da quando lui non era nemmeno un girino scrotale, e che suo padre ha un vinile autografato dai Judas Priest... poi decide di non raccogliere la provocazione.

La strategia del Coyote RossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora