Capitolo 148 - Passato, presente e futuro -

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18 maggio

L'attività riformatrice del generale Bonaparte era soltanto agli inizi, il progetto che aveva in mente era vasto, immenso, ma sapeva che doveva realizzarlo con calma, tassello per tassello, al pari di un mosaico. Pur non avendo molta pazienza era consapevole del fatto che la fretta fosse uno dei mali più insidiosi per chiunque volesse realizzare qualcosa di duraturo, ma non avrebbe di certo permesso alla lenta burocrazia di rovinare la portata della rivoluzione.

E decise di abolire le istituzioni austriache, in modo del tutto indipendente, senza neppure chiedere il parere del Direttorio "Credo che quando arriveranno le mie missive, capiranno definitivamente quale sarà il loro posto" pensava con un'arroganza che a molti poteva risultare fastidiosa e del tutto ingiustificabile; però a Bonaparte non importava minimamente di tali reazioni, sarebbe andato avanti per la sua strada. Dopo anni in cui aveva dovuto quantomeno mostrare obbedienza a dei superiori, era finalmente giunto il momento di poter fare ciò che più gli aggradava "Devo soltanto continuare a vincere, sempre, in questa maniera nessuno potrà mai mettersi contro di me" gli occhi brillavano intensamente.

Si sentiva rinvigorito, pieno di energia. Anche se di natura solitaria, riflessiva e introversa, amava in un certo senso essere al centro dell'attenzione, specialmente quando esponeva le sue idee, mostrando la sua infinita conoscenza; si stava rendendo conto della propria superiorità, del proprio genio, per la prima volta in modo consapevole. Non che in precedenza non lo fosse, però non aveva mai avuto un'occasione come la Campagna d'Italia per poterla dimostrare ampiamente: erano state solamente delle manifestazioni momentanee e limitate.

Così incoraggiò l'apertura di circoli politici a Milano e nell'intera regione, aveva bisogno di quanti più intellettuali possibili, con i quali conversava normalmente, nonostante fosse un militare. "Anche se con moderazione ho bisogno che gli italiani si risveglino dal loro letargo, vero è che a Milano, sotto gli Asburgo, nacque una corrente dei Lumi con i loro caffè letterari che promossero grandi pensatori, ma la teoria, assieme a dei timidi tentativi, non sono più sufficienti, occorre maggiore energia".

Come di consueto Napoleone aveva letto le opere degli illuministi milanesi e italiani, favorito anche dalla lingua, affinché sapesse come potersi muovere tra le élite più avanzate della città e capire immediatamente dove agire. Ma non disdegnava nemmeno gli inviti all'opera e a teatro, al contrario, era più che entusiasta di assistere alla rappresentazione di certi spettacoli e al bel canto di lirici dalle voci incredibili e coinvolgenti.

Anche in quelle occasioni dimostrava il suo sapere, dando giudizi e pareri sempre lucidi e chiari. Nessuno era in grado di metterlo in difficoltà, aveva sempre la risposta a tutto, ribaltando letteralmente la situazione; i suoi interlocutori restavano senza parole, senza la capacità di ribattere in modo convincente e non potevano fare altro che annuire e accettare, che fossero d'accordo o meno. Erano incapaci di andargli contro, come ipnotizzati dalla sua voce, dal suo carisma, avevano notato che non parlava così per ingraziarseli o per ostentare in maniera sterile, anzi era seriamente convinto e, per molti sensi quasi innamorato, di quanto proferiva.

Ovviamente la spinta rivoluzionaria continuava senza posa e aveva già dato ordine di riformare da cima a fondo l'università di Pavia, una delle più prestigiose: la cultura doveva essere incentivata il più possibile. Creare uomini colti, responsabili, meritevoli e capaci, che potessero essere in grado di dare vita ad una società nuova, basata sui principi rivoluzionari e, al tempo stesso, unirli alla tradizione e al passato. A differenza di molti altri rivoluzionari, infatti, Napoleone non era estremista, ma un moderato che cercava sempre di coinvolgere tutti al rinnovamento.

Quanto era accaduto in Corsica, che aveva visto e vissuto in prima persona, era stata una dura e importante lezione, assieme al Regime del Terrore. Da quel momento era maturata una visione più realistica della vita: gli ideali, senza basi solide e razionalità portavano alla distruzione incontrollata, indiscriminata del passato e di conseguenza del futuro. Non poteva permettere che potesse accadere in Italia, in una terra così ricca, per non dire colma, di storia, cultura e arte. Voleva che la Francia tutelasse questo tesoro inestimabile, direttamente o indirettamente, per questo accettava comunque le richieste del Direttorio del trasporto delle opere d'arte a Parigi.

L'Uomo Fatale [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora