Capitolo 93 - Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui -

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Tolone, 25 novembre

Presso i nemici, l'arrivo del generale Dugommier, costituiva un grande pericolo, conoscevano l'abilità di quel creolo, seppur in maniera indiretta, avevano avuto già modo di incrociarlo e di scontrarsi. L'ammiraglio Alexander Hood era sinceramente preoccupato, una svolta del genere, non solo era inaspettata, ma cambiava letteralmente le carte in tavola, non certamente a loro favore - Ho bisogno di parlare con il governatore O'Hara - confessò alla fine, alzandosi di scatto - In quanto marinaio non ho la preparazione adatta per fronteggiare un nemico così, mentre lui, grande uomo di guerra sulla terraferma, saprà sicuramente come agire e contrastarlo...

- Avete ragione ammiraglio - fu la secca ed eloquentissima risposta di Nelson. Il giovane aveva notato il repentino cambiamento dei suoi colleghi e superiori. Se prima della terza sostituzione erano, oramai, convinti della vicina vittoria, da quel momento quella sicurezza iniziava a vacillare. La flotta inglese era la migliore del mondo, su questo non c'era dubbio, ma pur sempre composta da esseri umani e non tutti inglesi, così come la fanteria e l'artiglieria, anzi in quelle branche dell'esercito, vi erano più mercenari del solito. I francesi, al contrario, stavano combattendo praticamente da soli e persino fra loro, come, appunto, nel caso di Tolone. Una vera e propria guerra civile.

Il governatore militare Charles O'Hara, nel frattempo, nella sua tenda, si stava scervellando per trovare una soluzione al fine di uscire da quella situazione sempre più ingarbugliata. L'assedio di Tolone si stava rivelando meno veloce del previsto e nonostante i continui rifornimenti, che ricevevano da parte degli abitanti più agiati della città e che li avevano aperto praticamente le porte, non sapeva per quanto tempo ancora avrebbero resistito. Tuttavia era bruciato dal desiderio di ottenere il suo riscatto dall'umiliazione ricevuta negli Stati Uniti, durante la Rivoluzione Americana.

Aveva dato tutto se stesso durante le incessanti battaglie sul Nuovo Mondo, aveva condotto il suo esercito, come secondo del generale Cornwallis, con enorme coraggio, intraprendenza, senza risparmiarsi alcuna fatica o sforzo. I ricordi si riversarono come un fiume nella sua mente, rimebrava la ferita alla coscia che aveva ricevuto e che, però, non gli aveva impedito di guidare i suoi uomini. Eppure ciò non era bastato. Strinse le mani a pugno, sul suo volto si formò un'espressione mista tra rabbia, frustrazione e tristezza.

Da tutti era ricordato come un ufficiale intrepido e impegnato, però O'Hara non si sentiva affatto così, nonostante fin da giovane si fosse sempre battuto come tale: si era distinto durante la Guerra dei Sette Anni, in Senegal e nelle colonie inglesi d'America che si erano ribellate alla madrepatria. La mente ritornava spesso a quegli anni.

Qui, dopo aver dato valore di sé, si era dovuto arrendere al colone Washington, a seguito dell'ultima e decisiva battaglia di Yorktown, lo aveva vinto con grande fortuna. Il vincitore forse per sdegno o per disinteresse, non lo aveva mai  compreso, lo aveva rifiutato, mandando Lincoln, al suo posto. Probabilmente ciò gli aveva permesso la promozione e la stima dei suoi colleghi, superiore e sottoposti. Fu eletto governatore militare di Gibilterra, possedimento di cui Londra andava più che orgogliosa, la sua posizione unica permetteva al Regno Unito di possedere gran parte dei traffici commerciali. Pensò che forse era davvero meritevole di tanta considerazione.

Dopodiché, tutti in Gran Bretagna voltarono pagina, come se nessuno ricordasse, o meglio volesse ricordare, quella terribile disfatta agli occhi del mondo. Gli inglesi erano stati sconfitti da un gruppo disordinato di ex coloni, sostenuto dai francesi, che invece, uscirono a testa alta. Poche volte come allora la Francia aveva avuto una reputazione tanto elevata, se non fosse stata intaccata dalla Rivoluzione che aveva investito il paese rovesciando una monarchia in piedi da secoli, se non millenni.

Per la terza volta nella sua vita se li trovò contro, per la terza volta sperava di averla vinta su di loro. Fremeva dalla voglia di batterli, voleva sentirsi in pace con se stesso, al di là del giudizio che avesse la gente nei suoi riguardi "D'altronde il mio destino è sempre stata la guerra" riflettè sospirando. Aveva accettato le decisioni che gli altri avevano deciso per lui, non che gli dispiacesse, al contrario, era appagante combattere per la propria patria e dare la vita per essa, se fosse stato necessario allo scopo di raggiungere la sublime via della vittoria e dell'onore.

L'Uomo Fatale [In revisione]Where stories live. Discover now