Le ragazze della Grande casa.

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[ ATTENZIONE: sono presenti violenza e abusi! Se siete facilmente impressionabili, non leggete! ]

Ogni tanto, capita che un rumore, un colore, un suono o una semplice luce mi riporti indietro di anni e anni, nei ricordi più bui della mia vita.

Nella grande casa i lavori dei ragazzi e delle ragazze, a quei tempi, erano distinti: Gli uomini portavano e spaccavano la legna, imparavano a cacciare, pulivano la stalla, facevano tutti i lavori manuali e politici, se serviva.
Noi ragazze eravamo l'eroine della cucina, questo lo ricordo bene, ed avevamo anche molti più lavori: Pulivamo, ci occupavamo dell'orto, degli animali, preparavamo il cibo per tutti, cucivamo i vestiti e ne creavamo a mano, da sole, di nuovi. Ci assicuravamo di proteggere la casa quando gli uomini, e sopratutto il nostro signore, non c'erano. Dovevamo badare ai bambini e a tutte le loro esigenze. Solo le donne più grandi e che mio padre riteneva abbastanza responsabili e intelligenti si occupavano degli affari del proprio paese, ed erano ben poche.

Ho iniziato a lavorare all'età di 7 anni, dopo essere stata istruita dalle altre donne per qualche mese. Il lavoro per noi ragazze iniziava alle 5, i ragazzi si alzavano un'ora dopo. Avendo più cose da fare, ci svegliavamo prima di tutti. Così da far trovare la casa in ordine agli altri.
All'epoca era Mongolia il nostro "capo". Lei era molto dolce e gentile, e dopo aver preparato la colazione tutte insieme, ci spartiva i vari compiti che, la sera prima, mio padre le aveva dato: Io, Lettonia e Lituania (benché fosse un ragazzo, era troppo giovane per fare i lavori degli uomini quindi stava con noi.) ci occupavamo sempre degli animali. Eravamo bravi in quello, e nel mentre facevamo anche altre piccole mansioni.

Gli portiamo il mangime, e mentre mangiano: Laviamo e stendiamo i panni; raggrupiamo il fieno; cogliamo qualche frutto dagli alberi vicini e li mettiamo in una cesta.
Appena abbiamo finito, passiamo a portare fuori le pecore e le mucche.
Era forse il compito più difficile. Erano animali che ci mettevano poco a dileguarsi, o divorare velocemente in pochi minuti tutte le foglie di uno degli alberi dell'orto. Dovevamo stare molto attenti, o ne avremmo pagate le conseguenze una volta tornati.

La casa era circondata da una spessa e solida staccionata di legno, alta circa un metro e mezzo. Volendo potevamo scavalcarla, o provare a romperla, ma nessuna di noi ne sentiva davvero il bisogno. Per andare dove, poi? Ci avrebbero sempre ritrovato, e la casa era immersa nel bosco fra le montagne, era anche facile perdersi se non si seguiva il sentiero.
Per uscire, bisognava attraversare un grande cancello di metallo. Quello era il simbolo del nostro confinamento e isolamento. Noi ragazze non la attraversavamo quasi mai. Di tutte le donne avevo visto uscire da lì più spesso solo Mongolia con Urss qualche volta, quando andavano a fare delle compere in città. I ragazzi invece uscivano quasi ogni giorno.
Per portare il gregge fuori si passava da una apertura sul retro della casa, che dava sul bosco: Dopo qualche minuto di cammino si raggiungeva un grande prato, dove lasciavano gli animali a pascolare liberamente. Vegliavamo su di loro seduti sotto un albero. Li potevamo ridere e raccontarci delle sciocchezze, mangiare qualche fragola o pezzetti di formaggio che Mongolia, se poteva, ci dava prima di uscire.
In casa c'era poco cibo, o almeno, quello che Urss ci permetteva di mangiare era poco, troppo poco. Ricordo questa grande scatola piena fino all'orlo, che metteva in cima a un grande mobile e che poteva raggiungere solo lui.
Dovevamo consumare tutto lentamente e il meno indispensabile. Poteva capitare di restare senza cibo per giorni interi. In Unione Sovietica era così.

Ricordo anche che indossavamo abiti semplici: Lunghi vestiti larghi a maniche lunghe, quasi sempre di colori neutri o spenti, qualche volta lunghe gonne e maglioni. In testa, sempre un fazzoletto rosso. Solo le donne più grandi avevano vestiti lievemente scollati e colorati, ma li mettevano raramente. Con tutto il lavoro che facevamo, non serviva molto vestirsi bene. Era Urss con Mongolia a scegliere i vestiti o i tessuti per farli. Andavano sempre nella stessa città, che non ho mai visto e di cui penso non ho mai saputo il nome. Una volta tornati c'è li davano subito. Che piacevano o no, bisognava metterli. Mio padre me lo ripeteva sempre.

Ah! Mio padre! Me lo ricordo così bene. Con quel suo sguardo severo, freddo, mentre mi urla, una volta uscite dal bosco e vedendomi per prima, con quella lunga bacchetta di ferro in mano: << Estonia, perché le mucche e le pecore non sono con voi? >>
Ci siamo addormentati e il gregge si è allontanato. Non l'abbiamo più trovato. Con il latte di quei animali gli uomini facevano dei formaggi che potevamo mangiare o vendere per racimolare qualcosa. Adesso neanche quello. È colpa nostra. Abbiamo provato a cercarli tutto il pomeriggio tornando anche tardi, sporcandoci di terra, fango e foglie. Eravamo stanchi e trafelati, ma questo mica avrebbe fermato mio padre.
Lui ci prende e ci trascina sul pavimento in legno del salotto.
Ci colpisce così forte che non riusciamo più a stenderci ne su un fianco ne sull'altro. Posso piangere, chiedere scusa, dire che li cercherò ancora e ancora. È colpa mia.
A me e Lettonia ci taglia con delle forbici per la tosatura le nostre treccie, che Ucraina ci aveva fatto con tanta cura quella mattina stessa, lasciandoci quasi senza capelli. Adesso li ho troppo corti. Sono brutti, rovinati. Me lo merito.
Non sappiamo quando se ne va, è incredibile come le lacrime e il dolore possano offuscare tutto.
Sappiamo solo che dopo un po' arriva Tijikistan. Cerca di consolarci, poi ci tira su e ci porta nelle nostre camere, dove Mongolia una per una ci fascerà le ferite e tratterà i lividi come meglio può.
Credo che venissimo picchiati...circa tutti i giorni. Un giorno senza botte non era un giorno normale. Mio padre era così irascibile...
Ammetto che una volta Urss cadde da un cavallo e si ruppe una gamba. E noi ragazze eravamo felici, perché non poteva più rincorrerci per picchiarci.
Ma in verità, capitava spesso a tutti quelli della casa. Donne o uomini.

Questa era la legge di mio padre. Lui era l'uomo che in casa comandava, decideva, torturava e puniva.
Ricordo bene come dopo aver comprato altre mucche e pecore, prese me, Lituania e Lettonia e ci legò alla staccionata di quest'ultime per tutta la notte, con un fazzoletto in bocca per impedirci di urlare, come se fossimo bestie.
Ma stavamo peggio delle bestie.

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