Sumero

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Khattushash, antica Mesopotamia.

Il sole era calato da un pezzo.
Babilonia camminava per i grandi corridoi del palazzo, affiancata dal suo sovrano. Teneva strette al petto delle tavolette di argilla, incise poche ore prima. Alcuni documenti di commercio, niente di davvero importante per loro in quel periodo di calma e prosperità.
L'uomo accanto a lei metteva quasi timore, nonostante all'apparenza fosse così giovane, aveva rivelato una forza devastante: Era alto, più alto di qualsiasi altro uomo della città. Aveva i capelli lunghi e scuri tenuti in una coda, il corpo muscoloso e curato e gli occhi d'orati.
Quando la guardò, con il suo solito sguardo pacato ma tremendamente serio e giudizioso, la babilonese ebbe un sobbalzo. Si doveva ancora abituare.
<< Dimmi, chi ti ha dato quel bracciale d'oro? Sembra molto...antico. >> Il tono di Hittito era curioso.
Lei abbassò gli occhi sul polso destro, dove il suddetto oggetto brillava alle luci provenienti dalla grande città.
<< Un...vecchio amico. >>
Lui alzò di poco le sopracciglia, sorpreso. << Un vecchio amico? Per caso uno di quelli che c'era prima di me a governanti? Se non erro si chiama- >>
Allora la donna si voltò con uno scatto. << Non dire il suo nome. >>
L'uomo si impietrì. La sua espressione era cambiata: era in allerta.
<< Cosa gli è successo? >>
Babilonia aveva continuano a camminare, ma sentendo quelle parole, si fermò. Si chiuse nelle spalle, e voltò il viso verso il cielo, verso le stelle.

































Ur, antica Mesopotamia. 1995 a.C

Babilonia continuava a rigirarsi quella misteriosa e liscia tavola nera fra le mani, mentre i sacerdoti e ricchi la circondavano in ansia, impazienti, nella grande sala del trono.
La sua espressione non era neutra come al solito, anzi, era tremendamente confusa.
Quel materiale non sembrava argilla, o metallo, era qualcosa di liscio, all'apparenza fragile, ma in verità tremendamente resistente. Era lettelarmente caduto dal cielo...
Anche le scritte erano strane. Non sembravano incise, sembravano essere state scritte direttamente dentro quella cosa.
Le ripercorreva continuamente con le dita, nella cieca speranza di intravede un superficie.
Ogni tanto apriva la bocca, come per dire qualcosa, poi la richiedeva. A quel gesto ripetuto, la gente attorno a lei aveva moti di impazienza.

( BUONA FORTUNA A TRADURLA, AHAHAHAHAH)

<< Non so cosa sia. >> confessò infine.
Uno dei sacerdoti si avvicinò un poco, lanciando una occhiata al misterioso oggetto. << Ma...dobbiamo preoccuparci? Il nostro Sovrano è in pericolo? >>
<< Beh, non lo so. >> continuò lei. << Non sembra necessariamente una minaccia, ma...io non abbasserei la guardia. >>
Si avviò dall'altra parte della sala, verso le grandi porte d'oro, e mentre passava tutti si scansavano, come se emanasse un forte potere.
<< Parlerò personalmente con il re e decideremo cosa fare. >> e fu l'ultima cosa che disse prima che i battenti si richiudessero.
Mentre camminava per i grandi corridoi, cercava di apparire tranquilla e seria, come aveva sempre fatto da quando era nata. Non poteva, lei consigliera del sovrano, mostrare la paura che provava per quella cosa.
Sumero stava per morire? Non avrebbe potuto perdere il solo che era come lei.
Erano gli unici della loro stirpe, non poteva permettere che gli accadesse qualcosa.
Quando giunse alle sue stanze, entrò senza bussare. Era totalmente sovrappensiero.
<< Babilonia? >> domandò una voce dietro di lei.
La ragazza si voltò e Sumero le sorrise. Sembrava l'unico veramente calmo in tutti il palazzo. Nel buio della notte, era appoggiato alla ringhiera del suo balcone, la veste bianca e regale che si muoveva sincrona col vento.
<< Mio signore...>> disse Babilonia con un inchino, << Non abbiano scoperto niente. Non sappiamo cosa sia. Mi...mi dispiace. >>
<< Tranquilla. >> le disse dolcemente lui, << Sarà solo qualche scherzo di cattivo gusto. Lo sai come sono i borghesi ogni tanto...>>
<< Signore, uno scherzo, a lei? >> era incredula.
<< Babilonia, è un messaggio senza senso. Non temere. Non succederà nulla. >>
Era calmo, ma serio.
Si, pensò la babilonese, sospirando rincuorata. Non succederà nulla.
<< Ora lascia pure quella tavola qui, me ne occuperò io. Tu vai a tranquillizzare la nostra gente. Arriverò tra poco anch'io. >>
Lei gli sorrise, finalmente, è uscì.
Sumero rimase per qualche momento a fissare le porte chiuse, poi il suo sorriso mutò in uno smorfia di terrore.
Corse fino al suo letto, dove la ragazza aveva appoggiato la cosa, e la prese con forza.
Non voleva.
Non voleva andarsene.
Aveva paura.
Ma non riusciva ad ammetterlo.
Gemette disperato e la strinse al petto.
<< No! >> gridò, e sperò che nessuno lo sentisse. << voglio restare qui! >>
Ma non era del tutto vero. E loro lo sapevano.
Gli Elamiti si avvicinavano sempre di più, i suoi generali erano sempre più preoccupati della situazione. Entro qualche anno, gli diceva uno di loro, lo scontro sarebbe stato inevitabile.
E lui aveva paura che sarebbe morto.
E voleva scappare.
Ma allo stesso tempo, aveva paura di scoprire cosa sarebbe successo se lo avesse fatto.
Non sarebbe più potuto tornare a casa.
Sumero scoppiò in un pianto disperato, e cadde sul suo letto, la misteriosa tavola lasciata piombare per terra.
Rivolse nelle lacrime uno sguardo al balcone, al cielo, e vide alcune luci spiccare in esso.
No, non erano stelle. Era qualcosa di più luminoso. Avrebbe dovuto credere a Babilonia quando gli diceva di averne viste alcune mesi prima, mentre era su una collina.
Singhiozzò, tornando a rivolgere il viso d'allora parte.
Chiunque sarebbe arrivato, sapeva di non potersi nascondere.
E anche quando andò dal suo popolo assieme ai sacerdoti e alla sua consigliera dicendo che non c'era pericolo, gli occhi non sorridevano come la bocca. Tornato nella sue stanze, si chiuse dentro, rifiutandosi di uscire anche solo per cenare. Non voleva vedere nessuno. Stare con nessuno.
Quando tutte le luci erano spente, lui era ancora sveglio, il locale perfettamente illuminato, a guardare terrorizzato il cielo.
Loro stavano per arrivare.
E dentro di sè, odiava, odiava il fatto di sapere che quella era l'unica strada che poteva prendere per salvarsi.

Babilonia non riusciva a dormire.
Aveva la vaga sensazione che dovesse accaddere qualcosa.
Non era paranoia, lei era la prima ad essere molto scettica. Ma Sumero si era comportato in modo allarmante.
Non era da lui sparire così, non parlare più con nessuno.
Doveva vederlo. Anche solo assicurarsi che stesse bene.
Così si alzò, cercando di fare meno rumore possibile.
E all'improvviso la stanza giró e si piegò in due, vittima all'improvviso di delle forti fitte allo stomaco. Era la sensazione peggiore che avesse mai sentito. Era come se delle scheggie di vetro le stesse penetrando nel ventre e poi nelle viscere.
Cadde a terra con le mani premute contro la pancia, cercando di riprendere fiato.
E invece riuscì solo a rimanere lì, con lo stomaco in subbuglio e senza fiato per la nausea.
Poi divenne tutto buio.

Il mattino dopo, quando si sarebbe svegliata tra le braccia dei medici e delle sue sacerdotesse, avrebbe scoperto di essere stata avvelenata.
E che di Sumero non c'era più traccia.

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