Incubo

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Il ragazzo era bloccato.
Poteva solo fissare quei occhi pieni d'odio, crudeli, mentre lei gli sorrideva malignamente. Un sorriso folle, che esprimeva tutta l'instabilità mentale di quella donna.
Lui era paralizzato.
Non riusciva a muoversi, a stento a formulare pensieri.
Sentiva solo la sua mano serrata attorno all'esa della lama puntata al suo addome.
Non posso... pensò, Non posso lasciarla...
E allora gli venne una pessima idea. La peggiore, ma l'unica che poteva farlo uscire di lì.
<< Cosa farai, ora, Zoran? >> lo incitò lei con studiata serietà. ancora ghignava.
Questo. pensò ancora una volta. Con uno scatto si avvicinò a lei e, contemporaneamente, spinse il pugnale in avanti.
Il croato anaspò, mentre sentiva la lama lacerare i vestiti, poi la pelle e i muscoli.
Sia lui che la donna fecero uno sguardo scioccato. Lei per ciò che era appena successo, lui per il dolore atroce.
Poi perse la presa sull'arma e scivolò a terra.
Sentiva il sangue fuoriuscire, caldo e come un fiume, dalla ferita all'addome. Sentiva la pelle, la camicia e la cintura che ne venivano imbrattate. Aveva un forte sapore metallico in bocca e qualcosa di liquido iniziava a bagnargli le labbra.
Seppur intontito, capì chiaramente di aver perforato di netto l'intestino.
Stava perdendo le forze. Ogni parte del suo corpo si faceva sempre più pesante e cominciava a provare un freddo viscerale.
La sua vista si ofuscò, ma vedeva ancora chiaramente la donna agitarsi disperata sopra di lui.
<< NOO! COSA HAI FATTO? MALEDETTO! >> strillava come la pazza che era, in panico come una bambina.
Il ragazzo le sorrise debolemente, con una smorfia per le fitte.
<< Hai....perso...>> le disse con l'ultimo filo di voce che gli restava, mentre anche il dolore spariva lentamente e sentiva che tenere alzate le palpebre era sempre più difficile.
Rabbiosamente, Ustascia si inginocchiò accanto a lui, e si chinò per sussurargli all'orecchio: << Non puoi sfuggirmi per sempre, tu sei mio, TU MI APPARTIENI! >>
Croazia chiuse gli occhi, e tutto svanì.
































Lo Jugoslavo si sedette con uno scatto, ansimando. Tremava come una foglia ed era sudato fradicio.
Mentre cercava di riprendere fiato e di rimettersi insieme, iniziò a far passare gli occhi da una parte all'altra della stanza, dicendo a mente ogni oggetto che vedeva, per riconettersi con la realtà.
Poi i suoi occhi incrociarono qualcosa di nero e peloso accanto alla sua mano.
<< CAZZO- >> Non riuscì a controllarsi. Fece un sobbalzò e spinse via quella cosa.
La gatta piombò a terra, rizzando il pelo e soffiando, spaventata.
Quando lui la riconobbe, sospirò desolato, e fece per riprendere in braccio, ma quella si allontanò, irritata.
<< Sarajevo, mi dispiace, dai, vieni qui...>> le disse, per poi alzarsi e prenderla quando si infilò nell'angolo.
Inizialmente la gatta era ancora rigida, ma dopo averla coccolata un po', si rilassò nelle braccia di uno dei suoi padroni.
Croazia sorrise, e la rimise sul materasso con lui e si sdragliò di nuovo.
Iniziò a ispirare e espirare con un ritmo regolare, e appena i battiti del cuore rallentarono, il buio calò di nuovo sopra di lui.
Quello infondo era stato solo l'ennesimo sogno.
Anzi, no.
L'ennesimo incubo.

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