Stelle Cadenti

81 5 33
                                    


13 Marzo, 1980. Orfanotrofio della cittadella.

Ormai era qualche mese che il padre l'aveva lasciata.
Aveva detto "Solo per un po', per sicurezza" e l'aveva affidata a Vaticano, San Marino e alle suore del luogo. Erano tutti molto gentili e premurosi, e lei questo lo apprezzava. Gli altri bambini un po' meno. Quasi tutti erano giovani nazioni Africane che ancora imparavano ad essere bravi stati, o fatti scappare da una guerra come lei è mandati lì. Gli altri ragazzini sperduti che i Countryhumans portavano. Forse ne conoscevano i genitori deceduti, lei non chiedeva mai. Stava sempre sulle sue. I bambini facevano troppo casino, correvano ovunque. Lei passava il tempo in qualche luogo isolato del prato per non sentire tutto quel fracasso. Non era come nella sua buia e rustica villa, dove niente e nessuno la disturbava. Non era abituata e non si sarebbe mai abituata a tutto quel baccano.
E poi aveva la netta impressione che gli altri ragazzini avessero paura di lei. Beh, effettivamente, assomigliava un po' a un fantasma: Capelli esageratamente lunghi e folti, castani tranne per tre ciocche che riportavano i colpri della sua bandiera (rosso, verde, nero) che quasi toccavano il suolo; occhi di un verde luminoso e grandi; Magra, molto magra e molto alta, sempre con il solito vestito largo nero lungo addosso.
Se poi avessero saputo che spesso le capitava di percepire i pensieri e i sentimenti delle persone tramite sensazioni e gli oggetti attorno a lei si spostavano senza neanche sfiorarli, sarebbe stato il finì mondo. Afghanistan aveva imparato a nascondere tutto grazie a suo padre, anche se spesso capitava di perdere il controllo, soprattutto nei momenti in cui era più stressata. Aveva solo undici anni, non sapeva ancora controllarsi bene.

L'Orfanotrofio era circondato dal bosco, tranne su un lato dove si apriva una grande radura. La sua finestra dava su quella parte, e spesso restava a fissare il paesaggio anche per un'ora. Stava sempre nella sua stanza a leggere o disegnare, o ascoltare dischi a bassissimo volume. Non faceva altro. Anche la televisione le dava fastidio. Troppo luminosa. Suo padre l'aveva avvertita sulla fragilità dei suoi sensi, per questo faceva molta attenzione. Al minimo errore, poteva danneggiarli gravemente e permanentemente. Aveva già quasi perso l'udito all'orecchio sinistro a causa del boato di una bomba, pochi giorni prima di lasciare la sua casa. Era caduta vicino, molto vicino ad essa.
Aveva perso sangue tutta la notte e suo padre aveva temuto che le fosse esploso il timpano. Per fortuna non era così, e dopo qualche settimana, quando già era all'orfanotrofio, l'orecchio aveva iniziato a guarire. Non funzionava ancora come prima, ma il dottore, Tunisia, diceva che c'erano miglioramenti. Lei non si rendeva neanche conto della differenza di come sentiva da una parte all'altra. Le pareva uguale. Era un buon segno.
Qualcuno bussò, piano, e lei rispose battendo leggermente la mano sulla scrivania. Poi si ricordò che quello era il segnale che usava con i servi alla villa, così che non dovessero parlare.
<< Avanti. >> disse allora, con voce fiebile.
Entrò una suora. Era una di quelle giovani. Portava gli occhiali, aveva il naso leggermente adunco e un sorriso gentile in volto. << Afghanistan, c'è una persona che vuole vederti. >>
Percepi dell'ansia in lei.
Mentre camminavano per il corridoio, lei gli spiegò che l'uomo in questione era il finanziatore dell'Orfanotrofio, che aveva aiutato a costruirlo negli anni 50, inviando come operai gli uomini della sua Grande Casa, subito dopo la guerra. Parlava come se stesse per presentarle un eroe, anche se le sue emozioni dicevano tutt'altro. Era in allerta. E Afghanistan fece gli occhi a due fessure quando vide, in fondo alle scale, con chi parlava Vaticano: Unione Sovietica.
Era lui, quindi? La persona che aveva attaccato il suo paese perché al suo genitore non andava bene il comunismo instaurato anni prima con un meschino colpo di stato?
Portò le mani in grembo e sospirò.
<< Ciao. >> disse, spronata sottovoce dalla suora.
Vaticano sembrava tutto agitato, molto di più di quando una volta (glielo avevano solo raccontato) il suo pontefice era venuto di persona lì.
<< È lei la bambina. >> disse Urss, con un sorriso rilassato. Non era una domanda.
Vaticano annuì frettolosamente. << Si, Unione, è lei, la figlia di Repubblica. >>
Afghanistan scese le scale a passettini, timidamente. Quell'uomo era davvero alto e muscoloso, sembrava una montagna. Le metteva sinceramente del timore.
<< Ciao. >> ripetè, perché non sapeva cos'altro dire.
Vaticano le mise dolcemente le mani sulle spalle. << Questo signore è venuto a vedere come stavi, se ti piace stare qui. Sennò, visto che è un'amico e un alleato del tuo papà, >> e deglutì, Afghanistan percepì la paura e l'ansia anche in lui. << Puoi andare a stare da lui. Ha una casa molto grande, e una famiglia altrettanto vasta! È...un bel posto. >> e le fece un sorriso sghembo.
Afghanistan guardò Urss: Non sembrava cattivo, anzi, dava l'aria di un leader. Qualcuno che era forte, molto forte, e dai libri di storia che aveva letto, sfidare il suo esercito era una delle cose più terribili che potesse capitare. I Tedeschi lo sapevano bene. Era una delle due potenze mondiali che governava una parte del pianeta.
Ma era pur sempre l'invasore, questo l'aveva ben fisso in mente. Era quello che suo padre odiava e le diceva di stargli lontano.
<< Io...sto bene qui. >> disse, con la sua solita vocina, nascosta sotto il suo velo castano con quelle tre righe colorate.
Urss rise. << Va bene. Ti sarei affezionata agli altri ragazzi, no? >> poi guardò Vaticano, che non riuscì a nascondere un sussulto. << Parla molto poco. Mi piace. >> disse, con un sorriso.
Vaticano emise una risata incerta
Urss mise una mano nel grande capotto e tirò fuori un pacchetto regalo.
Gli occhi di Afghanistan si illuminarono. Non era ancora mai successo che qualcuno le facesse un regalo.
<< Questo è per te. Da parte di tuo padre.>>
Sapeva che non era vero, ma lo accettò lo stesso e ringraziò.
Dopodiché la lasciarono tornare nella sua stanza, da sola. Si accorse solo in quel momento che dall'arrivo dell'uomo, tutti gli altri ragazzini si erano chiusi nelle loro stanze.
L'unico a uscire di tutta fretta fu quel casinista di Mozambico.
La affiancò, e vedendo il pacchetto sobbalzò.
<< E se fosse una bomba? >> sembrava seriamente preoccupato.
<< È un libro. >> disse Afghanistan, lo sentiva dalla leggere flessibilità del pacchetto.
Botswana uscì a sua volta, e fece una smorfia.
<< Sapete cosa dicono della sua casa? >> chiese, e tutti e due furono subito rapiti dalla sua voce. Botswana aveva questa incredibile abilità di attirare l'attenzione di tutti non appena apriva bocca. Aveva sempre qualcosa di intrigante da raccontare, anche cose che raramente si sentivano dentro l'Orfanotrofio e che una bambina non dovrebbe sapere. Era una grande origliatrice, spesso l'avevano vista spiare le suore, Vaticano e San Marino.
Li portò nella sua stanza e lentamente chiuse la porta, come temendo che qualcuno li stesse seguendo.
<< Dicono, >> riprese, voltandosi verso di loro. << Belgio! Ve la ricordate? Ci ha portato i biscotti due giorni fa. Ecco, ha parlato di soppiatto con Laura, la suora grassa che avrà centotrentotto anni- >>
<< Bot, per favore! >> La riprese Afghanistan. << Ne avrà una sessantina! >>
<< Va bene! Come vuoi! >> sbottò l'altra.
<< In ogni caso: Ha detto che una sera ci passò vicino con Olanda. Erano in esplorazione nel bosco. Ha detto che hanno sentito le urla di una ragazza per il giardino, qualcuno che correva e gli schioppi di una cintura. E dei forti colpi, forse un bastone. E la poveretta implorava e piangeva. A quanto hanno sentito prima di scappare via, terrorizzati, la sua unica colpa era aver scavalcato il muro ed essere andata a fare una passeggiata nel bosco, senza dirlo a nessuno e tornando con mezz'ora di ritardo. Roba da matti! >> eppure sorrideva. Quella storia doveva averla resa euforica.
Afghanistan sospirò. << Bot, lo sai che Belgio tende a ingigantire le cose...>>
<< Invece ti dico che era seria! Dovevi sentire come parlava! Si è adirittura messa a piangere! >>
<< Altro? Dicci ancora! >> La incitò Mozambico.
Botswana si schiarì la voce con aria fiera.
<< Un'altra prova degli abusi che vengono perpetrati lì dentro: Sapete che la gente di quella casa, tranne per quella scapestrata di Bielorussia, non viene quasi mai qui?  Ottimo! Mesi fa, di pomeriggio tardi, mentre ero fuori con San Marino per ritirare la pizza, abbiamo visto passare Lettonia e Estonia, assieme a KGB. Dio mio, avreste dovuto vederle! Erano magre come scheletri e piene di lividi. Estonia aveva adirittura un'occhio nero. >>
Poi prese Afghanistan per le spalle. << Devi stare attenta, 'Stan. Quell'uomo è un grande manipolatore. >>

E Botswana aveva ragione. Urss si era poi presentato piú volte, sempre con un regalo, solitamente un libro di qualche autore russo. Il primo, quello di Karl Max, non l'aveva neanche letto, e gli altri erano così complicati per lei...ci capiva poco.
Ogni volta le visite erano più lunghe e l'uomo la perculava sempre di più. Le parlava del suo paese, della sua casa. Le diceva cose anche affascinanti, le raccontava quasi come un vecchio nonno delle battaglie da lui affrontate. Della presa di Berlino. Di come aveva liberato l'est Europa. Spesso l'aveva incantata, stupefatta, ma a causa dei suoi poteri, Afghanistan sentiva sempre il marcio in quelle parole. Quella sensazione di impazienza perché lei non mollava. I suoi amici sempre più preoccupati.
Le aveva dato un vocabolario di russo, diceva che era importante imparare la lingua del suo più grande alleato. Aveva faticato a imparare quei pochi vocaboli che sapeva, per poi arrivare a sapere parlare quasi completamente la lingua. Quando però le scappava qualche parola estranea, Urss sospirava e la guardava con un sorriso.
<< Mi dispiace, piccola, ma sai che capisco bene solo il russo. >> Lei lo prendeva come un gioco, ma sapeva di star venendo lentamente indotrinata.
Le diceva che avrebbe dovuto impegnarsi di più ad imparare la lingua, che i suoi capelli erano troppo lunghi e nel suo paese non si portavano così, che avrebbe dovuto tagliarli.
<< Prima o poi ti porterà via con la forza. >> le diceva Botswana, preoccupata. Afghanistan sapeva che aveva ragione. Era solo questione di tempo.
Mozambico aveva proposto di farla scappare di notte. Ma lei rifiutava. Non aveva un posto dove andare.
Tutto quell'ansia mandava in squilibrio anche i suoi poteri. Ogni volta che era da sola nella stanza, in preda all'ansia, i libri si rovesciavano dai loro scaffali e le matite volavano da una parte all'altra della camera.
Sentiva pensieri e emozioni di tutti, anche quando non voleva.

Un giorno, Vaticano venne a chiamarla.
Si aspettava di trovare sempre lui davanti alla porta, invece vide una donna con gli occhi neri e capelli corti ad aspettarla.
<< Ciao, Afghanistan. >> le disse con un sorriso.
<< Sono un'amica di papà, dovrei parlare in privato con te. Oh! Si, scusa: د شوټینګ ستوری. >>
Afghanistan finalmente sapeva di potersi fidare.
Andarono nella sua stanza, e la donna tirò fuori dal suo zaino dei pantaloncini arancioni, una camicetta e delle scarpe marroncine, più un paio di forbici.
Afghanistan si cambiò subito, e notò che i vestiti erano palesemente da maschio. Non le dispiaceva.
<< Scusa, Tesoro, anche da parte di tuo padre. Ma dobbiamo farli corti corti, dai troppo nell'occhio così. >> e la donna prese le forbici.
I suoi capelli non si sarebbero salvati in nessun caso.
Sospirando desolata, lasciò che la donna gli tagliasse.
Guardandosi allo specchio, si accorse ormai di sembrare in tutto per tutto un ragazzo.
La donna gettò nello zaino le poche cose che lei aveva lì, poi pulì la stanza.
<< Sicura che funzionerà? >> le chiese preoccupato Vaticano, quand'erano scese di sotto ed erano ormai sulla soglia della porta.
La donna sorrise prima a lei, prendendole affettuosamente la mano, poi all'uomo.
<< Si, funzionerà. >> e uscirono, dirette chissà dove.

  •♡◇  𝕮𝖔𝖚𝖓𝖙𝖗𝖞𝖍𝖚𝖒𝖆𝖓𝖘 ♧ 𝖔𝖓𝖊-𝖘𝖍𝖔𝖙 ♡◇• Όπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα