Capitolo 7 ... Una lenta guarigione

69 8 1
                                    


Al chiacchiericcio di voci allegre mi destai col corpo immerso in un piacevole calore, la testa stordita e dolorante e quel vorticare impetuoso delle pareti del tepee. Il viso di Meoquanee chino sul mio era gioioso e sereno, Wanapeya era accoccolato poco distante con un bambino di circa tre anni, vivacissimo, che si arrampicava sulla sua schiena invitandolo al gioco. Il giovane capo acchiappava il piccolo per le braccine e lo faceva roteare sulla sua spalla raccogliendolo sul grembo, il suo volto era rilassato e sorridente.

- Come stai? - mi domandò Meoquanee.

- Meglio - risposi. Avevo riposato finalmente e la nausea pareva diminuita anche se permanevano le vertigini. Il mio primo tentativo fu di muovere le mani e ci riuscii, mossi le dita aprendole e chiudendole e provai a sollevare il braccio sotto la coperta. La gioia, il sollievo mi riempirono il cuore.

- Sì - ripetei - va molto meglio.

Indicai con un movimento del viso il bambino con Wanapeya.

- Chi è?

- Manišni[1], il nipote di Wanapeya, il figlio della sorella e di mio cugino. Adesso è orfano e se ne occupa Taopi. Ma Wanapeya ci tiene molto ed è lui che gli insegna a diventare un guerriero.

Riguardai il giovane capo e restai estasiata dalla sua bellezza.

- Quanti anni ha Wanapeya? - chiesi a bassa voce.

Meoquanee sorrise maliziosa.

- Una trentina - rispose.

- Otto meno di me - pensai. Subito dopo mi pentii di quella domanda e mi diedi della stupida.

- Devo essere una strega. Mi sento uno straccio.

Wanapeya scostò il bambino e si avvicinò ginocchioni fino a sovrastare il mio viso col suo, mi scrutò con occhi attenti (in quel momento incontrai i suoi occhi nerissimi) e poi ordinò a Meoquanee:

- Dalle da mangiare.

Prese Manišni per la mano e uscì dal tepee.

Restai sola con Meoquanee che mi lavò, mi pettinò, cambiò la fasciatura e provò ad imboccarmi, con poco successo poiché ad ogni movimento aumentavano le vertigini e ritornava puntuale la nausea con la sensazione di dover ributtare tutto fuori. Fu una gioia constatare che riprendevo il controllo del mio corpo, potevo debolmente muovermi e lo facevo, sia per rassicurarmi che non ero paralizzata, sia perché avevo i muscoli indolenziti dall'esser stata immobile in quella posizione troppo a lungo. Quanto avrei desiderato girarmi su un fianco o drizzarmi seduta! Ma ogni tentativo di sollevare la testa dal soffice cuscino arrotolato sotto la nuca sconvolgeva ogni percezione dello spazio, era come se la forza di gravità cessasse di esistere, gli oggetti si capovolgessero davanti a me, il suolo salisse in alto e io non capissi più dove erano i miei piedi rispetto alla mia testa.

Wanapeya rientrò a sera tarda, solo, mi diede una fuggevole occhiata e congedò Meoquanee che fu costretta ad andarsene; io la ringraziai caldamente per l'assistenza preziosa che mi aveva prestato per tutto il giorno. Era strano per me, così riservata, restare nello stesso ambiente sola con un uomo e anche se non correvo rischio di alcun genere - mi dicevo - a causa della mia già citata poca avvenenza, tuttavia mi dispiaceva di non avere la possibilità di rendermi più piacevole, soprattutto più pulita e ordinata (anche se la mia amica mi aveva rinfrescato il viso e le membra), e di mostrare che potevo essere una compagnia gradevole perché diversi amici mi riconoscevano il dono di una conversazione amabile ed empatica. Forse un giorno anche il giovane capo avrebbe apprezzato di me, non certo la bellezza, ma almeno le qualità umane che, a detta di altri, non mi mancavano. Come il giorno precedente egli si levò la tunica, rimanendo a torso nudo e, vincendo il mio naturale imbarazzo e l'innata timidezza, osai rivolgergli la parola e pronunciai il suo nome:

WANAPEYA, HO AMATO UN INDIANOWhere stories live. Discover now