Pausa (III)

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Era notte fonda quando Jisang arrivò a Gwangju. Era riuscito a prendere al volo l'ultimo treno disponibile, e appena partito aveva avvertito sua madre che stava tornando a casa per un paio di settimane. Non voleva rimanere a Seul un minuto di più. Prima di silenziare il cellulare per provare a dormire un po' aveva scritto un messaggio ad Hajoon: sapeva che la sua condizione mentale era precaria e voleva evitare che il ragazzo si colpevolizzasse per la pausa forzata che aveva imposto loro l'agenzia. Per una volta Jisang era d'accordo con Song PD: non avevano avuto il tempo di superare quanto era accaduto ad Hajoon. E Hajoon non era più lo stesso, sorrideva appena e non ballava con lo stesso entusiasmo di un tempo. I ragazzi avevano un rapporto stretto, considerato che trascorrevano gran parte del tempo insieme, ma non erano amici. Non lo erano mai stati. Nessuno si sentiva a proprio agio a mostrare agli altri le proprie debolezze e ciascuno cercava di cavarsela da solo.

Quando, alcune ore più tardi, Jisang arrivò in una delle stazione più periferiche, tirò un sospiro di sollievo nel vedere che c'era un taxi disponibile. Non appena fu all'interno dell'abitacolo abbassò il finestrino per respirare a pieni polmoni l'aria della notte. Fortunatamente il livello di polveri sottili non era elevato come a Seul e così l'autista lo lasciò fare, sebbene a quell'ora l'aria fosse frizzante. La famiglia del ragazzo abitava in un borgo a trenta chilometri dalla stazione e, visto l'orario, il ragazzo aveva preferito prendere un taxi per non obbligare i suoi genitori a mettersi in auto nel cuore della notte. Si stupì di trovarli ancora svegli.

«Se fossi arrivato domani mattina sarei venuta a prenderti io, Jisang-a. È un peccato che tu abbia buttato tutti quei soldi per il taxi...» Fu la prima cosa che gli disse sua madre.Jisang non sapeva come spiegarle che la sua era stata una vera e propria fuga.

«Cosa è successo? Il ballerino si è fatto male di nuovo, quindi?»

Il ragazzo annuì. «Purtroppo sì.»

«E voi cosa c'entrate? Perché hanno licenziato anche voi?»

«Non sono stato licenziato, papà» provò a spiegare Jisang. Suo padre non aveva mai capito come funzionassero i contratti degli idol e si era rassegnato a alla bizzarra occupazione del figlio solo perché non voleva avere con lui un rapporto conflittuale come quello che lui aveva avuto con suo padre. Dato che considerava Jisang un ragazzo assennato, in grado di non fare scelte azzardate e finire indebitato come gran parte dei loro parenti, gli aveva dato fiducia. Avrebbe preferito una carriera più stabile per lui, e un matrimonio tranquillo con la ragazza che aveva frequentato per anni, ma lo aveva lasciato libero di fare le sue scelte per quieto vivere. Il padre non aveva superato le sue perplessità neanche dopo il debutto, mentre la madre aveva cominciato a sperare che nel giro di qualche anno li avrebbe potuti aiutare a pagare i debiti.Park Jisang conosceva i suoi genitori talmente bene che lesse la domanda successiva nei loro occhi, così si affrettò a dire che era stanco morto prima che gli chiedessero se sapeva che Hyorin si era trasferita a Seul. Ogni angolo della sua città gli avrebbe ricordato Hyorin, ma ciò non voleva dire che era pronto a parlarne.

Il madhyung dei Nightmare Bloom trascorse le giornate successive con il padre. Lo aiutava nel negozio di elettronica di famiglia o accompagnava il fratello minore Jihoon a fare le consegne in giro per la provincia. Lui e Jihoon erano praticamente coetanei, ma avevano personalità talmente agli antipodi che avevano sempre avuto giri di amicizie diversi. Le lunghe trasferte per la provincia furono l'occasione per parlare un po' non solo dei problemi economici della famiglia, ma anche delle aspirazioni e dei progetti per il futuro.

Il sabato successivo al suo arrivo Jisang si lasciò convincere a uscire con il gruppo di amici di Jihoon. Dopo le serate trascorse davanti alla tv a guardare drama con sua madre, non gli dispiaceva l'idea di stare in compagnia di altri ragazzi della sua età. Si calò sugli occhi un cappello da pescatore, si fece prestare da suo padre abiti che a Seul nessuno avrebbe avuto il coraggio di indossare e si avventurò in un locale per la prima volta da quando era lì. I Nightmare Bloom non erano ancora famosissimi, ma era probabile che nella cittadina ci fosse qualche Stem. Non avrebbe saputo come comportarsi con i fan, dato che li aveva incontrati solo ai concerti e ai fanmeeting, ma decise di non fasciarsi la testa prima di essersela rotta.Fortunatamente doveva essersi camuffato abbastanza bene perché nessuno lo disturbò per gran parte della serata. Solo verso le undici, quando stava valutando di tornarsene a casa, notò un gruppo di ragazze che si girava in continuazione verso il loro tavolo. Di spalle non le aveva riconosciute, ma gli bastò un'occhiata più attenta per identificare la migliore amica di Hyorin e sua sorella gemella. Non aveva voglia di rivolgere loro la parola, ma non poteva neanche ignorarle, dato che era praticamente cresciuto con loro, così optò per un saluto di circostanza: si fermò per una frazione di secondo davanti al loro tavolo, giusto il tempo di rivolgere loro un cenno del capo e un sorriso distaccato, e poi sparì su per le scale che conducevano all'uscita. Detestava l'idea che la notizia del suo ritorno si diffondesse tra le sue conoscenze e arrivasse a Hyorin. Si pentì di aver assecondato Jihoon e per la prima volta valutò se fosse il caso di tornare a Seul, prima che i suoi vecchi compagni di classe lo contattassero. Quando si era lasciato con Hyorin aveva reciso gran parte dei rapporti, dato che si trattava di amici in comune e preferiva che rimanessero in buoni rapporti con la ragazza che con lui. In quel momento la sua mente era talmente affollata dai ricordi di Hyorin, che continuava a considerare l'amore della sua vita, che gli sembrò quasi di vederla a pochi passi dal cancello di casa sua. Strizzò gli occhi e guardò di nuovo. L'unica birra che aveva bevuto doveva avergli giocato un brutto tiro, perché la sagoma a una decina di metri da lui continuava a sembrargli proprio quella di Hyorin.

«Ciao, oppa» disse infine una voce che non sentiva da mesi.

Jisang quasi fece cadere la bici che stava trascinando a mano.

«Cosa... come... cosa ci fai qui?» riuscì infine a chiedere.

«Le mie amiche ti hanno visto al pub, così mi sono appostata qui per aspettarti» disse lei rivolgendogli un sorriso timido.

Jisang riusciva a malapena a guardarla negli occhi, tanto era scosso, e non si capacitava di quanto lei, invece, fosse tranquilla, dato che era sempre stata la più emotiva dei due.

«Intendo cosa ci fai qui, non vivi a Seul?» chiese ancora Jisang appoggiando la bici al muro.

«È sabato» gli ricordò lei. «Chanwook mi ha detto che eri qui e così ho preso un treno perché... perché avevo voglia di vederti. Qui a casa mi sento più al sicuro rispetto a Seul, dove ci sono paparazzi di Dispatch dietro ogni angolo.»

«Non sono così famoso.» Jisang non sapeva come interpretare la notizia che Hyorin fosse venuta fin lì per vederlo.

«Anche se non c'è nessun paparazzo, meglio entrare, no?»

«A casa mia?» domandò lui confuso. Non avrebbe saputo come giustificare davanti ai suoi genitori una visita della sua ex ragazza, ma poi si ricordò che era quasi l'una e che i suoi erano a letto da un pezzo.

«Pensavo nel negozio, a dire il vero» disse lei indicando il cancello accanto a quello di casa sua.

«Non-non ho le chiavi del retro» balbettò lui. Non riusciva neanche a mettere i pensieri in fila l'uno dietro all'altro, perché la presenza di Hyorin, e soprattutto la familiarità con cui lei lo trattava, lo disorientava.

«Io sì!» La ragazza gli rivolse un sorriso furbo. «Non lo ho mai restituite a tuo papà, visto che non me le ha mai chieste.»

Combattendo il desiderio di prendergli la mano per essere sicura che lui la seguisse, Hyorin scavalcò agilmente il cancello del negozio e sparì dietro l'angolo della palazzina. Jisang fece lo stesso, con il cuore che gli batteva all'impazzata si fermò a un palmo da lei per aspettare che aprisse la porta. Era impossibile starle tanto vicino senza essere travolto dai ricordi, in quel luogo che tanto aveva rappresentato per loro. Avevano trascorso notti intere a chiacchierare seduti sul tavolo dove in quel momento erano impilati dei forni a microonde. Avevano festeggiato lì la mezzanotte dei loro compleanni. Innumerevoli volte si erano confessati quello che provavano l'uno per l'altra tra quegli scaffali ed era sul materasso adagiato a una delle pareti che avevano fatto l'amore per la prima volta. Quella stanza che fungeva da magazzino del negozio era il loro nido e il ragazzo provo un senso di ebrezza non appena fu all'interno. Con un sospiro Jisang guardò intensamente Hyorin e si chiese come sarebbe riuscito ad arrivare alla mattina dopo senza baciarla.

***Nota dell'Autrice***

Mi sa che non riesco ad aggiornare tutte le settimane, in questo periodo, ma vorrei provare a settimane alterne!

Allora, ve l'aspettavate? Hehe. Come si fa a non shippare questi due? Sono così tenerelli, no?

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