Capitolo 5 | Paure

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L'armonia che venne a crearsi tra me e Daphne in quel periodo, seppur rassicurante e superficialmente confortante, era però ingannevole; appariva, infatti, velata, come uno schermo posto a custodia di qualcosa di più profondo, che non riusciva in nessun modo ad emergere. Fu quella sorta di equilibrio artificiale a farmi credere che ci stessimo finalmente conoscendo meglio. La mia mente era talmente assuefatta da quella situazione di pace apparente, che non mi accorsi fin da subito di un'evidenza: lo sforzo di avvicinarsi e di instaurare un dialogo proveniva quasi solo ed esclusivamente da me. Ero io quello che si approcciava, che apriva discorsi, che usciva dalla propria comfort zone pur di rompere il silenzio che spesso e volentieri riempiva le mura del nostro appartamento. Nonostante i piccoli progressi che si erano succeduti, nei giorni precedenti, era chiaro che Daphne era ancora restia ad aprirsi. Mi aveva ascoltato, lei stessa mi aveva mostrato piccoli aspetti della sua vita, ma non aveva mai preso l'iniziativa, non era mai stata la prima a chiedere a me qualcosa, facendomi credere che non volesse davvero parlarmi o, addirittura, stare in mia compagnia.

Le nostre vite non subirono alcun cambiamento significativo in seguito alle prime avvisaglie del maltempo: io continuavo ad uscire al mattino in direzione del palaghiaccio, per gli allenamenti quotidiani, mentre Daphne, a volte dalla sua stanza, altre dal salotto, continuava a lavorare alle traduzioni in vista delle scadenze. Seppur in maniera continuativa, nevicava ancora debolmente; le strade, infatti, erano facilmente percorribili e i mezzi e i servizi pubblici erano nel pieno della loro attività. Il paesaggio era diventato quasi completamente bianco, eccezion fatta per le carreggiate, periodicamente pulite, l'aria al naso era frizzante, i suoni cittadini sempre più attutiti. La sera era un momento particolarmente suggestivo: al di fuori degli infissi si potevano ammirare le luci provenienti dalle finestre dei palazzi circostanti, le quali, riflettendosi nel candore della neve, creavano dei giochi di colore magnifici.

Quest'ultima immagine, in particolare, la più suggestiva, si presentò un tardo pomeriggio, quando, al peggiorare del maltempo, decisi di ritornare a casa prima del previsto. L'ambiente domestico era silenzioso, quieto, il tepore proveniente dai termosifoni piacevole ed ospitale. Daphne era in cucina, attorniata da fogli, avvolta in un grande maglione di lana. Il suo sguardo, chino sugli stampati, era talmente assorto da non permetterle di notarmi.

La salutai velocemente, prima di dirigermi in bagno e fiondarmi sotto la doccia, in assoluto, il momento della giornata che più preferivo. La sua meraviglia nel vedermi, al mio ritorno nell'area comune, fu inaspettatamente genuina.

"Non mi avevi visto?" le chiesi stupito.

"Colpa delle cuffie" rispose, mostrandomi i due piccoli auricolari poggiati sul palmo della mano.

Feci un cenno con il capo e andai verso il lavello, presi un bicchiere e lo riempii d'acqua. Quando mi voltai nuovamente, Daphne mi dava le spalle; con lo sguardo rivolto alla finestra, appariva distante e persa nei suoi pensieri.

"C'è qualcosa che ti preoccupa?" avanzai.

In risposta, sollevò la testa e la scosse.

All'istante, lasciai il contenitore in vetro opaco, ancora pieno di liquido, nel lavandino, presi una sedia, la portai davanti a lei e mi ci sedetti a cavalcioni, le braccia poggiate sullo schienale: "Ascolta, abitiamo insieme già da alcune settimane. Abbiamo litigato, parlato e condiviso esperienze personali. Sto bene qui, ma ci sono momenti in cui mi sento un oggetto, un ninnolo di design che sta lì a prendere polvere. Penso, spero, di essere diventato tuo amico. Perché non vuoi darmi fiducia?"

Daphne si girò e i suoi occhi incontrarono i miei, rivelando un misto di paura e incertezza: "Ci sono vicende di cui ho mai parlato a nessuno. Cose che mi tengo dentro da anni... Come puoi soltanto pensare che di punto in bianco ti spifferi tutto?"

Il tono della sua voce, carico di emozione, si era alzato a barriera, quasi a difendersi da un attacco nemico. Rimasi spiazzato.

"Daphne, non è mia intenzione spingerti ad ammettere cose che non vuoi dire. Puoi confidarti, ma soltanto se ti va. Non ti costringerei mai a fare qualcosa contro la tua volontà e in nessun caso ti giudicherei. Ti sto soltanto facendo partecipe di ciò che sto provando io. Vorrei che fossi un po' più aperta e che non mi considerassi come una sorta di banco informazioni, a cui parlare soltanto se interpellata".

Emise un piccolo sbuffo divertito ed inspirò, indecisa.

"Mettiamo in chiaro che dietro ad un banco informazioni sarei comunque estremamente avvenente e paurosamente diligente" punzecchiai.

"Un'opportunità sprecata." mi incalzò, abbozzando un sorriso, prima di continuare "Sai, ho vissuto tante cose nella mia vita, alcune talmente dolorose e difficili da dire che ho imparato a tenerle per me".

Chiuse gli occhi ed espirò: "A volte ho paura che, se ne parlassi, diventino reali, ancor più di quanto non lo siano già".

Quella sua ammissione, così a cuore aperto, testimoniata dal lieve rossore delle sue gote e dal tremare della sua voce, mi colpì, tanto da arrivare a rassicurarla: "Ti prometto che nulla di tutto ciò succederà e, se mai deciderai di parlarmi di qualcosa, sarò pronto in ogni momento ad ascoltarti".

Lei sembrò riflettere sulle mie parole, ma non rispose subito. Guardò fuori dalla finestra per un po', prima di mettersi in piedi e avvicinarsi ai fornelli. Prese due tazze, le riempì con l'acqua del bollitore e vi immerse due bustine di tè da infusione.

Quando tornò, sembrava aver preso una decisione: "Ti va di parlare un po', prima di cena?"

Presi una coppa dalle sue mani. Il profumo di cannella e arancia si impadronì delle mie narici. La guardai e, con finto gesto regale, le mostrai la sedia da cui poco prima si era alzata.

Sorrisi: "Si accomodi!"

Quella volta conversammo di sogni, condividemmo storie di viaggi e di mete lontane da raggiungere, discorrendo argutamente fino a tarda sera, quando questa si fece buia e silenziosa, lasciandoci trasportare dai fiocchi che cadevano dal cielo, mentre la tempesta continuava ad infuriare, ricordandoci di mangiare soltanto a notte fonda.

Allo sciogliersi della neveWhere stories live. Discover now