Capitolo 7 | Timore

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La tempesta raggiunse presto un'intensità tale da arrivare a far tremare le imposte. Il vento ululava come una belva affamata, mentre la neve continuava a cadere ostinata fuori dagli scuri. La nostra preoccupazione cresceva sempre di più: eravamo intrappolati in quello che sembrava un mondo separato dal resto del pianeta. Con la città inerme, completamente bloccata dalla bufera, il nostro isolamento forzato si prolungò oltre ogni aspettativa.

Per cercare di sfuggire alla tensione crescente, io e Daphne iniziammo a trascorrere sempre più tempo insieme, come a cercare conforto l'uno nell'altra. Nonostante il freddo e la neve continuassero ad insinuarsi fuori, nel nostro appartamento cresceva una sorta di fiamma, un tepore fatto di amicizia e comprensione, che, con gentilezza, riempiva le nostre giornate di conversazioni e condivisione.

Con un po' di timore, lentamente, lei si aprì, iniziando a raccontarmi delle sue esperienze di vita e, in particolare, dei suoi numerosissimi viaggi. Aveva girato quasi tutta l'Inghilterra, nel corso della sua infanzia. Era stata in Scozia, in Galles, in Irlanda. Era stata in Cina; nella primavera dei suoi diciassette anni i genitori le permisero di andare nel Guangxi. Lo descrisse come una regione affascinante, verace, ricca di culture che si intrecciano tra loro, in quello che è il più incantevole groviglio di eterogeneità esistente. Guilin, con le sue imponenti colline di calcare, emergenti come creature mistiche dalle verdi acque del fiume Li, è il luogo che più la colpì.

"Le barche dei pescatori sembravano danzare sul fiume, le loro ombre si specchiavano sulla superficie dell'acqua increspata dal vento, aggiungendo un tocco incantato all'atmosfera, già magica dal principio".

I suoi occhi verdi brillavano mentre parlava, persi com'erano nei ricordi del passato.

Era trascorsa quasi una settimana dall'inizio del blocco. Ci stavamo ormai abituando alla costante presenza in casa l'uno dell'altra. Quel pomeriggio eravamo in cucina, le luci del tramonto, filtrate dalla densa coltre di nubi e neve, si riversavano nella stanza con intensità innaturale. Daphne si era accomodata al lato più corto del tavolo, antistante rispetto al posto in cui sedevo io, i piedi ritratti sul piano della sedia, le spalle rivolte alla porta finestra. Intorno alla sua chioma, un'aureola suggellava l'incontro tra il bagliore dei raggi e la parte superiore dei suoi capelli.

Io la guardavo con ammirazione, con sguardo bramoso di sapere, di conoscere a fondo gli aspetti della sua vita. La sua voce era come un richiamo stregato, carica di emozione, entusiasta, orgogliosa di raccontare di episodi e avventure passate. Ascoltarla parlare mi affascinava oltremisura.

"Poi, dove sei stata?" le chiesi, forse per la terza volta da quando aveva iniziato a parlare delle sue avventure, quasi fossi un disco rotto.

"A Yangshuo, poco più a sud di Guilin, e nei villaggi circostanti. Abbiamo passeggiato lungo le risaie a terrazza, i campi di tè, tra le minuscole case tradizionali. C'era un'atmosfera surreale, mi sentivo come se fossimo entrati in un mondo fantastico, completamente diverso da quello a cui eravamo abituati. Poi, Nanning, la capitale, con la sua vivace vita notturna. Un'esperienza che ci ha permesso di toccare con mano la Cina, quella vera, quella fatta di anziane signore che ti offrono un piatto caldo di noodles, di bambini che giocano per strada, di agricoltori che lavorano nei campi di tè, quella che poi mi ha spinto a studiarne la lingua, la storia e la cultura... Ogni momento trascorso lì ci ha lasciati senza fiato".

Quell'ultimo periodo mi rapì definitivamente. Quasi riuscii a sentire il profumo, il fragore dei luoghi che aveva descritto, tanto gli aveva resi vividi. Neanche feci caso al fatto che utilizzò il plurale, che utilizzò il noi.

"Yuri," mi chiamò poi, destandomi dal piccolo stato di trance in cui mi aveva fatto cadere con le sue parole "tu, invece, cosa mi racconti?"

Il suo invito mi sorprese piacevolmente. Mi allungai sul tavolo, le mani a sorreggere il mento, le labbra allungate in un sorriso: "Da dove vuoi che parta?"

Lei sembrò riflettere, per poi guardarmi negli occhi: "Dal principio".

Iniziai così a raccontarle della mia infanzia in Polonia, delle mie prime esperienze nel pattinaggio e dei primi viaggi fatti all'estero. Le parlai apertamente di aneddoti, anche di quelli più strani, portandola talvolta a ridacchiare. Le mie parole fluivano in modo naturale, come se avessi trovato un'amica di lunga data con la quale confidarmi.

Le nostre storie sembravano dissimili, ma c'era una connessione che si stava formando, una comprensione reciproca che andava ben oltre le nostre differenze.

"Senti, posso chiederti una cosa?" le chiesi d'improvviso, a racconto ultimato, la mente consumata dalla curiosità.

"Dimmi"

"In Cina, ci sei più tornata? Ne parli con così tanto affetto, che non riesco a non chiedermelo".

Lei, in risposta, abbassò lo sguardo, l'espressione improvvisamente seria: "Ho avuto la possibilità, ma non ne ho avuto più il coraggio".

Passò qualche istante, prima che una lacrima le scendesse silenziosa lungo la guancia sinistra. Io la guardai, il cuore pieno di angoscia, ma non ebbi il coraggio di dire nulla. Bensì, mi alzai, avvicinandomi alla cucina, afferrai due tazze dal ripiano sovrastante il lavello e le riempii con una bustina di tè e una zolletta di zucchero, alimenti onnipresenti sul piano da lavoro, accanto ai fornelli, per poi colmarle dell'acqua rovente del bollitore.

Mi avvicinai e le posai davanti la coppa fumante. Daphne mi guardò, gli occhi tristi, la punta del naso leggermente arrossata.

Esitò: "Vuoi che ti racconti?"

Mi accomodai sulla sedia più vicina a lei e sorseggiai la mia bevanda con cautela: "Non ti costringo. Se vuoi tu, io ti ascolto".

Ero deciso ad essere lì, a sostenerla, indipendentemente da cosa volesse, o non volesse, condividere.

La vidi farsi forza. Strinse le braccia intorno alle ginocchia e fece un respiro profondo. Mi guardò. La sua storia arrivò inaspettata, dura, amara, si abbatté con forza su di me e sulla mia coscienza. E mentre il rumore della tempesta continuava a strillare all'esterno, le sue parole rimasero sospese nell'aria, reali, pesanti, impalpabili.

Il mio battito accelerò, il mio respiro si accorciò, la mia bocca si seccò.

Ero sconvolto.

Allo sciogliersi della neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora