Capitolo 8 | Sofferenza

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Ciò che c'era tra Daphne e Liang era molto più di quella che si chiamerebbe 'affettuosità': non erano soltanto compagni, erano due anime affini, due cuori che battevano all'unisono, incarnando il significato stesso dell'essere amanti. Una coppia, un'unica entità, una simbiosi perfetta. Erano tutto, l'uno per l'altra, erano uniti, erano innamorati.

Il loro legame era nato pian piano, come il sorgere del sole al mattino. Coetanei, uno più grande dell'altra di pochi mesi, erano cresciuti insieme, come vicini di casa e amici sinceri, aiutandosi nei momenti di incertezza e sperimentando le gioie della giovinezza. La loro infanzia era un mosaico di ricordi condivisi: giochi, avventure, piccoli litigi, segreti confidati... le prime dita intrecciate, il primo abbraccio, il primo bacio.

Il loro amore si era sviluppato così, in modo naturale, senza bisogno di dichiarazioni o di promesse particolari, un legame talmente profondo da non necessitarne. Si erano avvicinati gradualmente, senza rendersene conto, come due gocce d'acqua che, scivolando giù, sul vetro di una finestra, si fondono l'una all'altra, trasformandosi in un unico flusso corrente.

Liang era un ragazzo allegro, spensierato, raggiante, che, come qualsiasi adolescente della sua età, aveva un sogno: voleva studiare arte; ma Liang era anche giovane, troppo per affrontare quello che avrebbe combattuto di lì a poco. A soli sedici anni gli venne diagnosticato un tumore. Leucemia mieloide acuta, lo chiamarono. La notizia, l'inizio della fine, arrivò inaspettata, come un getto d'acqua ghiacciata che si abbatte glaciale sulla nuca, che colpì brutalmente lui, lei e le rispettive famiglie. I genitori di Liang, che anni addietro si erano trasferiti in Inghilterra alla disperata ricerca di nuove opportunità, si ritrovarono improvvisamente, accanto al figlio, a combattere un mostro, un essere violento, una creatura più grande di quanto ci si aspettasse.

La chemioterapia, intrapresa poco tempo dopo la diagnosi, non riuscì a fermare il decorso della malattia. Il giorno in cui gli dissero che non sarebbe sopravvissuto, Liang decise di fare una pazzia: un pellegrinaggio dall'altra parte del mondo, in Cina, nel Guangxi, per conoscere a pieno la sua cultura madre, alla ricerca delle sue antiche radici, un'esperienza in cui volle e pretese di portare Daphne.

Quello fu il suo primo, il suo ultimo, viaggio, affrontato a cuor leggero, in pace, in contemplazione serena di quanto stava per accadere.

La sua morte arrivò poco tempo dopo il loro rientro a casa, quando si spense, soddisfatto, nel letto della sua infanzia.

E il mondo di Daphne si sgretolò. Liang, la sua persona, il suo tutto, in un attimo divenne il suo niente. Si chiuse in sé stessa, si allontanò dalla sua vecchia cerchia di amici, intrisa, troppo impregnata, grondante dei ricordi di colui che le aveva dato tanto. Ricordi dolorosi, che lei non voleva più possedere, che voleva chiudere in uno scrigno da nascondere nelle profondità più oscure del suo essere.

Fu quello uno dei motivi per cui decise, finito il college, di allontanarsi da Shrewsbury.

Fu quello uno dei motivi per cui si rifiutò di avvicinarsi sentimentalmente a qualcun altro.

Fu lui uno dei motivi per cui decise di studiare il Mandarino.

A quel punto, Daphne interruppe il racconto, la voce tremante, strozzata dall'emozione. Chiuse gli occhi per un momento, come per cercare la forza per continuare, il respiro a nascondere piccoli singhiozzi disperati. "È stata un'agonia. Ho cercato di tenere tutto dentro, buttandomi a capofitto sullo studio, per dimenticare. Ma il dolore era sempre lì, onnipresente, mi mangiava, mi dilaniava da dentro".

Inspirai, ma non riuscii a parlare subito. Ero sconvolto. La sua storia mi aveva colpito nel profondo. A stento fui in grado di concepire il dolore che aveva dovuto sopportare, contro cui aveva cercato di proteggersi e che, con il tempo, l'aveva resa prigioniera delle sue stesse paure.

"Mi dispiace, Daphne," arrivai a sussurrare, con voce rotta "non posso neanche immaginare quanto sia stato difficile".

Lei abbassò la testa, aspettò un istante e si alzò, le lacrime che scorrevano silenziose, libere, lungo le guance: "Non penso di essere mai riuscita a superare del tutto la sua morte. Il problema più grande è che da allora ho il terrore di legarmi agli altri, per paura di perderli ancora".

La vidi indugiare, prima di abbozzare un sorriso affranto: "Ma adesso non voglio assillarti con i miei problemi" disse, prima di congedarsi, lasciandomi da solo in salotto, a contemplare il nulla, con i pensieri immersi nella tragica storia d'amore che lei aveva condiviso con qualcun altro. 

Allo sciogliersi della neveWhere stories live. Discover now