6.HERE WE GO AGAIN

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Andrea mi guardava da quelle che secondo me erano ore. Era imbarazzante. Era imbarazzante il fatto che, dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che avevo passato, ancora mi piacesse e mi elettrizzasse oltre ogni modo.

Gli feci un cenno e mi voltai, pronta ad andarmene.

«Ferma.» il suo ordine arrivò con voce più roca del solito.

Restai di spalle, più per cercare il coraggio sufficiente ad affrontarlo che per altro. Era la prima volta, da quando era ritornato, che restavamo totalmente da soli.

«Cosa c'è?»

«Dobbiamo parlare.»

«E di cosa?»

«Se ti voltassi, potrei spiegartelo.»

Deglutii a vuoto e, ostentando una calma che non avevo, mi voltai. Trasalii nel ritrovarmelo vicino, troppo vicino.

Contegno, dannazione!

Sbattei le palpebre per prendere tempo. «Mi sono voltata. Dimmi.»

Negli occhi di Andrea si accese una scintilla. Era la scintilla che compariva quando io gli facevo perdere la pazienza.

Incrociai le braccia, attendendo la sfuriata che sicuramente sarebbe stata intensa; stranamente, si portò una mano tra i capelli e tirò forte, sospirando.

«Puoi cambiare tono, per favore?»

In una delle mie tante sedute di terapia, con la mia dottoressa avevamo stabilito che, una volta accettato il dolore, dovevo appigliarmi a qualcosa per superarlo. Questo qualcosa non poteva essere nessuno dei miei amici, perché erano troppo coinvolti anche loro emotivamente. Ma, soprattutto, perché si trattava di sentimenti ed emozioni e non potevo -e dovevo- usare le persone come un mezzo per raggiungere un qualcosa.

Quindi, andando per esclusione, dovevano essere proprio i miei sentimenti la leva per saltare fuori dal buco nero in cui gravitavo da più di un anno.

E, di sentimenti tra cui scegliere, avevo l'imbarazzo della scelta.

Frustrazione. Delusione. Sconforto. Insoddisfazione. Dolore. Fallimento.

Per farla breve, qualsiasi aggettivo negativo in ordine alfabetico, in quel momento era parte di me stessa, radicato in ogni singolo tessuto muscolare.

Vivevo in balìa di impulsi.

Freud sicuramente spiegherebbe in maniera più erudita e chiara la mia attuale situazione, io posso limitarmi a balbettii e sospiri, cercando di srotolare il gomitolo.

Comunque sia, per il grande psicologo tedesco, ogni uomo era dominato da un istinto di creazione pacifica e da un impulso distruttivo, che si esprime attraverso l'aggressività verso il prossimo e sé stessi.

Cercando di riassumere, ognuno di noi cercava profondamente la felicità, ma le diatribe personali e sociali ne evitavano il totale raggiungimento. Ed ecco quindi che la vita di ogni essere umano diventava un bilanciamento molto instabile tra la pulsione di vita, che lui identificava con Eros, e la pulsione della morte, Thanatos, che consiste in tendenze autodistruttive.

Avevo sempre cercato di seguire Eros il più possibile, e c'ero quasi sempre riuscita. Almeno fino a quando lui non aveva deciso di lasciarmi in tronco ed andare via. Da quel momento, mi cibavo di Thanatos e lo sguinzagliavo praticamente sempre.

Lo feci anche in quel momento. Svegliai Thanatos, mi aggrappai a lui e alla mia rabbia, l'emozione che avevo scelto per superare questo strazio, e mi scaraventai contro di lui. 

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