15.RIFLESSI E RITORNI II

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Ero lì, le lacrime scorrevano silenziosamente lungo le mie guance, mentre il peso dei miei errori mi schiacciava come un macigno.

L'avevo lasciata credendo che lei non mi amasse più, convinto che fosse la cosa giusta da fare. Ma ora, di fronte a Serena, il dolore del mio sbaglio mi travolgeva come un'onda gelida. Mi rendevo conto di averla abbandonata nel momento in cui lei aveva più bisogno di me, e quel pensiero mi tormentava, straziandomi nell'animo. La gravità delle mie azioni mi pesava come un fardello insopportabile, lasciandomi annegare in un mare di rimorsi e rimpianti.

«Io..» balbettai «..io credevo che..»

«Cosa?!» mi fermò «Credevi che non ti amassi più?!»

La postura di Serena era statica, le spalle tese e il corpo rigido, ma nei suoi occhi si leggeva chiaramente tutto il dispiacere di quello che stava succedendo. L'intensità della sua sofferenza traspariva dallo sguardo, mentre cercava di trattenere le emozioni che minacciavano di travolgerla. Era come se ogni fibra del suo essere gridasse il dolore che sentiva dentro, anche se cercava disperatamente di nasconderlo dietro una maschera di freddezza.

Mi voltai, dandole le spalle, e con il dorso della mano asciugai le due lacrime che mi erano scivolate dagli occhi. Non ero abituato a piangere. Dalla morte dei miei genitori, mi ero concesso il lusso delle lacrime solo altre due volte, entrambe per lei. 

La prima volta, mentre, disperato, la lasciavo all'ospedale con l'ex in coma; e poi ora.

Quella ragazza aveva il potere di toccare corde che non sapevo nemmeno di avere. Ogni parola che pronunciava sembrava vibrare come se avesse risvegliato qualcosa in profondità dentro di me. Era come se stesse accordando le corde di quelle chitarre che, prima che io la distruggessi, amava suonare.

Sospirai, sentendomi esausto. Non sapevo cosa fare né come fare per districare quella matassa che avevo dentro e intorno a me. Mi ero ripromesso di parlarle, di starle vicino, e di cercare di risolvere quella situazione intricata a prescindere da tutto. Ma sembrava che più ne parlassimo, più la confusione aumentasse.

Era come se ogni parola, anziché sciogliere i nodi, li avvolgesse ulteriormente. Sembrava un labirinto senza uscita, dove ogni tentativo di trovare una via d'uscita portava solo a ulteriori bivi e strade senza sbocco.

«Andrea?»

La notte estiva avvolgeva il bosco in un manto di quiete e mistero. La pioggia aveva appena smesso di cadere, lasciando l'aria impregnata di freschezza e il terreno umido sotto i nostri piedi. Le prime stelle timide cominciavano a spuntare nel cielo, ma la loro luce era ancora troppo flebile per penetrare il blu notte intenso, che sembrava avvolgere tutto attorno a noi. Era come se il bosco fosse sospeso in un limbo tra l'oscurità e la luce, mentre noi eravamo nella caverna.

Sarebbe stato rischioso avventurarsi verso casa di Serena, anche se distava appena un chilometro dal bosco.

La notte prometteva di essere lunga e incerta, e saremmo dovuti rimanere lì, in quel rifugio improvvisato, fino all'alba.

O parlavamo stanotte, oppure non ci sarebbe stata più occasione.

«Mi stai preoccupando.»

Trasalii nel sentire la voce di Serena così vicina a me. Ero così preso dai miei pensieri che non avevo avvertito la sua figura avvicinarsi.

Mi voltai verso di lei con una determinazione nuova, sentendo il peso delle mie parole nell'aria umida e carica di tensione. «Senti.» iniziai «Credimi quando ti dico che continuare a rinfacciarci cose avvenute un anno fa non ci porterà da nessuna parte. Se vogliamo veramente mettere fine a questa guerra fredda che si è insinuata tra di noi, è il momento di agire.» un sospiro sfuggì dalle mie labbra, portando con sé la fatica accumulata da mesi di silenzi e scontri frustranti. «Dobbiamo aprirci l'un l'altra, senza maschere, senza remore.» sospirai ancora «Cominciamo da qualsiasi cosa, ma parliamo.»

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