9. ARMISTIZIO BIANCO

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La pioggia scendeva a dirotto, le nuvole plumbee gettavano acqua a cascata e la visibilità era pessima. In lontananza, un tuono fendette l'aria, rimbombando tra le pareti e facendo saltare per un attimo la corrente.

L'autunno era arrivato in tutta la potenza di quella stagione e reclamava il posto che gli spettava di diritto dopo il torrido caldo estivo.

«Lasciatemi andare! Lasciatemi!» mi dimenavo in lacrime tra le braccia dei miei amici. Stringevo convulsamente il biglietto che lui mi aveva lasciato tra le mani. Dovevo raggiungerlo, dovevo andare da lui.

Non sapevo dove, non sapevo come. Ma dovevo farlo.

Riuscii a slacciarmi da quelle braccia che mi ingabbiavano e cercai di arrivare alla porta, ma le gambe malferme non ressero e scivolai in avanti, sbattendo con le ginocchia sul pavimento.

«Dannazione! Serena!» qualcuno mi sollevò da terra.

«Devo andare da lui! Lasciatemi andare da lui!» urlai.

«Non sai dove si trovi lui adesso!»

La testa girava.

Riuscii per l'ennesima volta a sfilarmi dall'abbraccio di Joan e mi diressi fuori, con la sola forza del mio amore per quel ragazzo che mi aveva abbandonata lasciando un misero biglietto.

Fuori dal portone della mia palazzina in centro mi trovai avvolta nella pioggia. In meno di due minuti mi trovai fradicia, il tessuto leggero del vestitino estivo appiccicato al corpo mi dava una sensazione di fastidio.

I capelli lunghi erano incollati al mio viso, togliendomi quel poco respiro che mi era rimasto.

Dovevo andare avanti, un passo alla volta, ma dovevo andare avanti.

Victor mi afferrò, scuotendomi talmente forte da farmi sbattere i denti. «Basta, cazzo!» era fradicio anche lui «Non puoi cercarlo in queste condizioni!»

Stavo per ribattere, ma un tuono mi bloccò, illuminando una parte di un cantiere di fronte la mia palazzina.

Il mio sguardo fu catturato da qualcosa di strano: la pioggia abbondante aveva riempito d'acqua una buca nella strada, all'interno della quale un gattino cercava disperatamente di nuotare.

Mi sciolsi da Victor e corsi verso di lui. Il gattino cercava di rimanere a galla, ma era piccolissimo e il suo corpicino non riusciva a opporsi alla forza della corrente, sarebbe morto di lì a poco.

Senza pensarci un attimo mi infilai tra le reti e mi trovai all'interno del cantiere. Qualcuno chiamava il mio nome ma non ci badai.

Mi diressi verso la buca e allungai il braccio per afferrare quello scricciolo. Era talmente piccolo e denutrito da stare completamente nella mia mano destra.

Mi precipitai verso l'appartamento, seguita a ruota dai miei amici.

«Prendete una coperta, una sciarpa, qualsiasi cosa possa generare calore!» cominciai a dare ordini «Qualcuno prenda un phon.»

Mercorelli arrivò con una sciarpa, che avvolsi attorno al corpo del micetto, mentre Elisa lo poggiava sulla coperta sul suo grembo.

Camilla accese il phon con l'aria calda. «Forza, piccolino.»

Cominciai a fare un massaggio cardiaco, sperando di riuscire a salvarlo.

Dopo minuti infiniti, lui aprì gli occhi e me li puntò addosso. Ero riuscita a salvare un gattino.

Come la luna sull'acqua chiara.Where stories live. Discover now