In cima alle macerie

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Il fumo si alzava lento dal cumulo di macerie e Izuku le osservava con uno strano disagio nel petto, così forte e penetrante che quasi si sentiva senza fiato.

Il sole splendeva come il solito, ma non riusciva a scaldare le membra dell'eroe che fissava dall'alto di tutto ciò. Il sangue che schizzava le zolle di asfalto che si erano spaccate dopo uno dei suoi colpi, una mano che emergeva da un grosso blocco di cemento.

Una mano si sovrappose a quella reale che stava fissando con orrore, una mano ricoperta da un guanto verde e arancione.

Il fiato arrivò rarefatto nei polmoni del verdino, il ricordo lontano era ancora ben stampato nella sua mente. Un ricordo che non lo avrebbe mai abbandonato e che lo avrebbe tormentato per il resto della sua vita.

«Deku.» urlò una voce alle sue spalle, qualche metro più in basso, «Porca la miseria, stai bene?»

Red Riot lo fissava preoccupato mentre cercava di aggirare degli ostacoli per arrivare dall'amico che lo guardava imperturbabile.

Izuku aveva esagerato con quel colpo, era ben consapevole di quanta forza ci stesse mettendo in quel pugno che stava sferrando contro l'ennesimo villain, ma dentro di lui se ne stava fregando.

Da quel giorno non era più stato lo stesso, la guerra lo aveva cambiato, la guerra gli aveva portato via l'unica sua voglia di continuare ad essere quell'eroe che aveva sempre sognato di essere, perché l'unico che lo spronava a dare il meglio di sé, era morto sotto i colpi di quel villain che non era riuscito ad uccidere quando ne aveva avuto l'occasione.

Quanto si era dannato quando aveva visto il corpo di Lui steso a terra, il cuore che non batteva più e Shigaraki Tomura in piedi sopra di lui che lo fissava con un sorriso malvagio.

Aveva esagerato anche quella volta. Aveva dato tutto sé stesso per uccidere quel mostro che aveva osato portargli via il suo Kacchan e dopo aver sconfitto chiunque gli si parasse davanti quel giorno, aveva dato fin troppo pur di annientare coloro che gli andavano contro, ma anche sé stesso.

Bramando la morte senza però ricercarla apertamente.

Tornò a fissare quella mano che di sicuro non apparteneva a Lui, in fondo era sepolto in quel cimitero in cui nessuno sembrava più andare.

«Eijirou, tu lo ricordi ancora, vero?» chiese Izuku ignorando la sua domanda, «Sai, mi sembra di essere l'unico che si ricorda ancora di lui o che ci pensa ancora.»

«Di cosa stai parlando?» domandò il rosso saltando fino ad arrivare sul grosso masso di cemento su cui stava in piedi il verdino. Un suono umido risuonò nel silenzio che si era creato dopo la fine dello scontro.

«Era brusco e alle volte perfino violento, ma non credo che lo avrei voluto in altri modi.» continuò e dovette strizzare le palpebre, non riuscendo più a mettere a fuoco quella mano.

«Izuku, dobbiamo andare.» disse con voce affrettata dalla preoccupazione.

«Perché?» chiese voltandosi e il suo sorriso triste fece mancare un battito all'amico che era già pronto ad afferrarlo, «Che senso avrebbe andare se mi trovo ancora là con lui?»

«Non fare così, dobbiamo portarti subito all'ospedale...il tuo braccio...» provò a dire Eijirou, ma con un gesto di diniego della testa dell'altro, venne zittito.

«Sto bene qui.» e la mano che tornò a fissare gli parve muoversi, ora ricoperta da quel guanto arancione e verde, così familiare, ma anche così distante nei propri ricordi.

Un passo in avanti del rosso, il suono del sangue che calpestò sotto gli scarponi, rimbombò nelle orecchie di Izuku come un preludio della morte, ammantata in un mantello fatto di dolcezza e con la promessa di quel volto che poteva riportare alla memoria solo con le foto.

Un passo in avanti del rosso, il suono del sangue che calpestò sotto gli scarponi, rimbombò nelle orecchie di Izuku come un preludio della morte, ammantata in un mantello fatto di dolcezza e con la promessa di quel volto che poteva riportare alla ...

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Rostig RotWhere stories live. Discover now