Un pugno che fa male

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Gli occhi di Katsuki sfarfallarono appena, la mascherina per l'ossigeno posta sul suo volto stringeva e gli stava dando fastidio.

«No, non toglierla.» disse una voce grave al suo fianco, gli aveva afferrato il polso quando aveva provato a scostarsi la mascherina dal volto, «Ne hai ancora bisogno, i tuoi polmoni sono danneggiati dalla polvere.»

«Jeanist?» chiamò il ragazzo voltando il capo e trovandosi seduto sulla scomoda sedia accanto al suo letto d'ospedale il suo superiore.

L'uomo lo fissava con un tetra rassegnazione negli occhi, la paura che aveva provato nel ricevere quella chiamata dall'ospedale, lo aveva portato a lasciare a metà il lavoro che da quella mattina ingombrava la sua scrivania di fascicoli.

Sapeva che prima o poi una chiamata del genere sarebbe arrivata. Vedeva negli occhi, un tempo ardenti, del suo allievo, una incommensurabile tristezza, mascherata da quella smania di primeggiare che ormai non era più autentica come una volta.

Aveva perso quella parte di sé che lo spingeva a dare il meglio, aveva perso la forza che lo aveva portato su quella strada.

Era presente quando quel giorno fatidico aveva perso tutto.

Camminava tra le macerie che i villain si erano lasciati alle spalle, un fantasma che sorreggeva tra le proprie braccia il corpo morto di un eroe. Sporchi entrambi di sangue e polvere, sembravano la rappresentazione della guerra in persona, quello che essa si lascia alle spalle.

Un amore spezzato per colpa di idee folli ed egoistiche.

Un'amicizia che non era riuscita a trovare la cura per risanarsi, per far crescere quei due ragazzi insieme e mai più separati.

In quel momento, quando aveva visto il volto del giovane Katsuki con in braccio il proprio amico, aveva avuto il presentimento che la morte lo avrebbe reclamato presto.

Era per quello che appena aveva sentito, dopo aver risposto alla chiamata, il nome dell'ospedale in cui era stato portato d'urgenza, aveva mollato qualunque cosa ed era corso.

Non poteva permettere che morisse, non lui, non dopo quello che aveva sacrificato per la pace di quel mondo che aveva pianto solamente il suo amico e non lo aveva lodato per quel che aveva fatto.

La vittoria era passata in secondo piano quando il conto dei morti era stato reso pubblico.

Katsuki era stato dimenticato come gli altri eroi che avevano portato la pace.

«Perché ti spingi a tanto ogni volta?» chiese Hakamada con un sospiro, gli occhi fissi su quel braccio che quasi si era strappato completamente dal corpo e che gli avevano riattaccato per miracolo, «Perché vuoi morire così disperatamente?»

«Io non voglio morire.» provò a ribattere il giovane, combattendo contro la stanchezza che i farmaci gli imponevano.

«Non mentirmi ragazzo. Li vedo i tuoi occhi, ormai ti conosco.» s'infervorò il maggiore, le mani a stringere il lenzuolo di cotone rigido che lo copriva, «Capisco che senza Deku non sei più felice, ma non puoi continuare così.»

«Non pronunci il suo nome.» ansimò, cercando di trasmettere la sua rabbia in quella voce così fievole, «Non lo nomini davanti a me. Izuku non c'entra in tutto questo.»

«Allora perché ti ostini a voler fare la sua stessa fine?» lo rimproverò ormai al limite della sopportazione, «Sei sempre stato un ragazzo brillante, ma non sei più quel giovane dal comportamento esplosivo al limite dell'eccesso che ho assunto tempo fa.»

«Cosa vuole dirmi? Che mi licenzia perché non mi comporto più come un villain. Ora che sono morigerato proprio come voleva lei, non le servo più?» cercò di puntellarsi sui gomiti per affrontare meglio il suo capo.

«Ti sto dicendo che i tuoi istinti suicidi non sono adatti ad un eroe, per questo ti sospendo a tempo indeterminato.» e si alzò dalla sedia fissando con sguardo serio il ragazzo che ricambiò l'occhiata con occhi sorpresi, «Spero che questo ti faccia capire che il tuo modo di comportarti non ti si addice.»

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Rostig RotWhere stories live. Discover now