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In ritardo.

Come qualsiasi altro giorno, ora, mese e anno della mia vita.

Una ritardataria cronica anche per le cose più semplici.

Come andare a scuola, per esempio.

«Avanti..!» mi lavo velocemente i denti, mentre infilo i calzini e le scarpe subito dopo.

Dovevo svegliarmi presto questa mattina, eppure ieri sera sono andata a letto talmente tardi da non riuscire neanche ad aprire occhio alle sette.

Ho passato circa due ore a riempire le pagine del mio diario con una serie di insulti, imprecazioni e sfoghi rivolti al primo figlio degli Adams, Duke. Mi ha lasciato addosso un tale nervosismo che per poco sono riuscita a trattenere l'impulso di precipitarmi da lui e spaccargli a sassate il vetro della sua finestra.

E sapere che questa mattina lo rivedrò al college, mi rende ancora più nervosa.

Tra tutti le università degli stati uniti, doveva venire proprio a Providence a lavorare?

Sbuffo contrariata e mi precipito nella mia camera, correndo quasi come se mi trovassi nel bel mezzo di una maratona.

Ci sono quasi, mi ripeto mentre infilo rapidamente una t-shirt rossa sopra un paio di jeans. Sistemo poi con velocità il mio viso, applicando del semplice mascara e un gloss trasparente.

Subito dopo, afferro la mia borsa con tutto il necessario per ascoltare tre ore di lezione, ma mi blocco all'istante nel momento in cui ricordo di non aver indossato i polsini.

Diavolo, come ho fatto a dimenticarli?

Ne scelgo quindi un paio rossi, in modo che almeno siano abbinati alla maglietta, e copro il più in fretta possibile le cicatrici sul polso.

Evito di guardarle, poiché ogni volta che noto quei tagli nella mia mente piomba il buio più totale e inizio a sentire la necessità di farmene degli altri.

Ho iniziato a tagliarmi da circa due anni, e solo nei momenti in cui provo un dolore talmente forte da non poter essere superato in altro modo.

Provare quel dolore fisico sposta per pochi minuti la mia attenzione da ciò che mi tormenta alla sofferenza per i tagli.

E seppur non possa fare a meno di procurarmeli, non  riesco a non coprirli. Non voglio che nessuno li veda: da un lato perché me ne vergogno terribilmente- mi fanno sentire una semplice ragazzina debole- dall'altro non voglio che nessuno li scopri perché penserebbero che io sia strana e recherei infinite preoccupazioni ai miei amici e alla mia famiglia.

Sposto una ciocca di capelli che mi era finita sul viso e finisco di infilarli, per poi scacciare questi pensieri dalla testa e avviarmi al piano di sotto.

Scendo le scale a due gradini alla volta, rischiando di cadere e spaccarmi la faccia almeno tre volte. Riesco comunque ad arrivare sana e salva al piano di sotto e a salutare con un semplice bacio i miei genitori.

«Ci vediamo ogg-» la voce di mia madre svanisce nell'esatto momento in cui esco di casa e mi ritrovo sul portico.

Scusa, mamma.

Rilascio un sospiro, stanca morta per la corsa che ho fatto dal primo minuto in cui mi sono svegliata fino ad adesso.

Sono già esausta e la giornata è appena iniziata.

Grande, Elle. Che grande atleta.

Attraverso il vialetto e raggiungo il ciglio della strada, in attesa che Jasper arrivi e mi porti al college.

Fire hearts Where stories live. Discover now