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Beethoven.

Le note della sua "Für Elise" echeggiano nella mia camera, ondeggiando in sinfonie calzanti e sinuose. Gli armonici suoni di una delle sue composizioni più famose si diramavano dalla tastiera, su cui le mie dita si posano con ritmo e delicatezza al tempo stesso.

La melodia si espande nella stanza, attraversando le pareti e trasformandosi in particelle di suono piacevoli e graziose.

Suonare il piano mi ha sempre entusiasmata, sin da quando avevo undici anni.

La prima volta che mi sedetti su uno sgabello e le mie dita si posarono sui tasti avvertii immediatamente con loro una sintonia incredibile. Non appena infatti vennero prodotti i primi suoni le note presero a incantarmi in maniera talmente tanto intensa da apparire come una stregoneria.

Ricordo ancora che non riuscivo più a smettere di fare pressione su quei semplici tasti, poiché- seppur allora non fossi molto brava a suonare- riuscivo già a sentire un legame indissolubile e magico che legava il mio corpo a quello strano strumento.

Uno strumento che a oggi è diventato parte di me e che riesce a eludere le mie più recondite paure con delle semplici melodie.

In particolare, sto cercando di utilizzare la composizione di Beethoven per togliermi dalla testa ciò che è avvenuto soltanto qualche giorno fa, in quel magazzino.

Un ragazzo è stato ucciso davanti a me.

È morto proprio ai miei piedi, ucciso da uno psicopatico.

Quello squilibrato di Duke Adams non ha esitato un secondo di più a piantare una pallottola nel cranio di Anderson e- seppur io sia fermamente convinta che quel ragazzo fosse un mostro- il fatto che abbia visto un'anima sfumare via in maniera così brutale mi ha... turbata.

Chiamatelo codice etico o semplice perbenismo, ma non ho alcuna intenzione di accettare quello che ha fatto quel bastardo.

Non che possa fare altrettanto, certo... Duke ha cancellato tutte le prove e gli indizi che avrebbero potuto collegare lui e quei criminali dei suoi amici all'assassinio di quel ragazzo, perciò anche volendo... non potrei fare nulla.

Niente di niente.

Semplicemente perché non solo Duke Adams è uno stronzo squilibrato, ma è anche un fottuto genio dell'informatica.

Un hacker.

Che potrebbe entrarmi nel telefono in un batter d'occhio senza che io possa neppure battere ciglio.

Le mie dita si muovo in modo più frenetico sui tasti bianchi e neri, accelerando quella che è la già ritmica composizione. Il nervosismo di questi pensieri sta infatti alimentando la furia che avevo cercato di sopprimere attraverso il pianoforte.

E giuro che ci ho provato in tutti i modi a togliermi dalla testa l'idea di andare a casa degli Adams e spaccare la faccia a quel coglione del loro primo figlio, ma non ci sono riuscita.

Ho consumato almeno dieci pagine del mio diario, bucandone persino qualcuna a causa della foga che guidava la mia mano.

Ho ripreso gli spartiti di due anni fa, sperando che più canzoni suonassi più la rabbia diminuisse.

Ho perfino provato a fare una corsa al mattino.

Dicono che aiuti a liberare lo stress e a placare il nervosismo giornaliero, eppure dopo due minuti ero morta sul marciapiede.

Sfinita, col fiatone di una fumatrice incallita- che, tra parentesi, mi rifiuto categoricamente di essere- e una rabbia maggiore rispetto a quella precedente.

Fire hearts Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum