VII

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CHRISTIAN

Uscii di casa verso le tre, dopo aver portato a spasso Joker, sapendo che mia madre non lo avrebbe fatto.

Era stata chiara sul fatto di avere un cane in casa: dovevo occuparmene io o sarebbe sparito. La verità era che faceva la dura, ma voleva bene a Joker anche lei.

Sul divano, sdraiata con le gambe posate su dei cuscini, c'era mia madre intenta a leggere un libro.

- Io esco –

- Dove vai? –

A scoparmi la vicina di casa.

- Devo fare un progetto con una mia compagna di classe – spiegai, prendendo le chiavi della macchina.

Le avevo chiesto quella mattina l'indirizzo e non avevo la più pallida idea di dove fosse, ma avrei dovuto mettere il navigatore.

- Non sapevo che aveste un progetto da fare – commentò, abbassando il libro e guardandomi.

- Invece si. Abbiamo un mese di tempo. A dicembre c'è la consegna –

Continuò a fissarmi ma alla fine ritornò a leggere e io potei finalmente uscire di casa.

Dopo essermi perso un paio di volte nei sensi unici finalmente arrivai a casa di Aurora e ne rimasi stupito.

Avevo sentito dire da Alice che i suoi avevano i soldi, e anche una bella casa, ma non immaginavo di certo una villa enorme circondata da un giardino ancora più grande.

Parcheggiai davanti, non vedendo alcun divieto, e andai a citofonare, sentendo una leggera ansia.

A rispondermi non fu Aurora, ma quella che doveva essere sua madre. – Salve, sono Christian, un compagno di Aurora – mi presentai al microfono.

Il portone di ferro si aprì ed entrai nell'enorme villa, sentendomi decisamente fuoriposto.
E piccolo.
Nemmeno nei miei sogni avrei mai immaginato di vivere in una casa come quella, così bella, e potevo solo aspettarmi ancora più lusso dall'interno.

Vidi una casetta sull'albero, abbastanza grande perché due persone adulte potessero starci senza romperla, mentre una casetta più piccola, per gli attrezzi o qualcosa del genere ( non ne avevo mai avuta una e non potevo saperlo) era infondo al giardino.

Mi parve di vedere anche un salice piangente all'altra estremità del giardino, ma non avevo ne tempo ne voglia di andare a controllare.

La porta di casa si aprì mostrando il volto di una donna, identica a Aurora, ma con gli occhi più scuri.

Non ci voleva molto a capire che era la madre. Ed era anche più giovane di come me la immaginavo. Non superava la quarantina, e se lo faceva li teneva bene gli anni.

- Ciao, sono Francesca, la madre di Aurora. Entra pure – mi accolse calorosamente sorridendomi e mi fece cenno di cambiarmi le scarpe con delle pantofole, mentre appendeva la mia giacca all'appendiabiti davanti all'ingresso. Anch'esso maestoso.

- Piacere, Christian –

- Posso offrirti qualcosa? Acqua? Tè? Coca? –

- Coca-cola, grazie – accettai. In casa mia non c'era praticamente mai, e chiedere una birra mi sembrava troppo scortese. Anche se in quel momento una non mi sarebbe dispiaciuta.

Francesca mi fece cenno di seguirla e più continuavo a guardarmi attorno più mi sentivo piccolo e insignificante.

Non avevamo mai avuto problemi economici, ma in confronto mi sembrava di vivere in una topaia.

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