XVIII

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Christian

Parcheggiai davanti all'indirizzo che mi aveva mandato Aurora per Whatsapp e guardai l'edificio con crescente ansia.

Più ci pensavo e più la mia voglia di tornare a casa aumentava, ma sapevo che non sarei mai arrivato a tanto.

Tornai a sentire, dopo tanto tempo, la necessità di fumare ancora. Avevo smesso per evitare che Sara mi imitasse, e anche perché non avevo soldi per pagarmi le sigarette. In quel momento mi sarebbe sicuramente servita a sciogliere i nervi, ma poi me ne sarei pentito. Ma soprattutto, non ne avevo come me dietro, quindi non sapevo nemmeno perché mi stavo ponendo il problema.

Alzai lo sguardo e vidi il volto di Aurora dall'altra parte della strada. Indossava un giubbino enorme e dei pantaloni della tuta, insieme alle sue stampelle. Mi fece sorridere il fatto di vederla così imbacuccata, ma soprattutto per le guance rosse che le erano venute a stare al freddo.

In qualche modo, vedendola, trovai la forza per uscire e raggiungerla.

- Ehi nanetta, cosa ci fai qui al freddo? -

Mi lanciò un'occhiata di rimprovero, in cui ci trovai solo tanta ansia. Era abbastanza probabile che fosse più in ansia di me.

- Allora, ti ho raccontato della storia di Lela - disse, anche se sembrava più una domanda rivolta a me, e così annuii.

- Ottimo... poi... ci sarà anche mio padre.. e.. -

- Auro - la interruppi quando iniziò a parlare a macchinetta, facendomi capire si e no la metà di quello che stava dicendo. Le presi i gomiti e la guardai negli occhi, facendole capire che doveva smettere di parlare. - Andrà tutto bene -

Fui stranamente convincente perché Aurora annuì e iniziò a zoppiacare verso l'ingresso.

All'interno faceva decisamente più caldo e le piste da bowling erano in fono dalla stanza, prima c'era un bancone, con un piccolo bar, e dei tavoli di legno con sopra dei cesti e dei grissini.

Era molto accogliente, i colori caldi e la musica -RTL - di sottofondo, occultata dal vociare delle altre persone presenti.

Aurora mi fece strada verso le piste dove riconobbi subito la chioma rossa di Serena, ma non era sola: accanto a lei c'era un ragazzo dai capelli castani, il fisico muscoloso e asciutto e i tratti simili a quelli di Aurora. Immaginai si trattasse del fratello, Nicolò.

I due erano talmente vicini, e disinvolti, che per qualche secondo mi venne l'idea di fermare Aurora per chiedergli se stessero assieme, ma eravamo già arrivati. E mi pareva abbastanza ovvio che fra i due ci fosse qualcosa.

Sui divanetti riconobbi anche la madre di Aurora, con addosso una camicetta e un paio di jeans, accanto all'uomo che doveva essere Manuel: capelli biondo scuro e occhi di un azzurro intenso, anche se non come quello di Aurora.

Su un altro divanetto c'era la famiglia di Serena e quando la osservai bene trovai l'insieme parecchio bizzarro: erano tutti uno diverso dall'altro. La madre, che si presentò come Noemi, aveva i capelli biondi e gli occhi verdi, oltre che un debole accento Siciliano; il suo nuovo marito aveva capelli scuri e occhi chiari, e poi le due gemelle che di uguale avevano solo l'età e la forma del volto, per il resto erano parecchio diverse. Una bionda e l'altra mora. Una gli occhi verdi e l'altra azzurri.

- è un piacere conoscervi - salutai, cercando di mostrare il mio sorriso da bravo ragazzo e sperando di non essere divorato vivo.
Se uscivo con le mie gambe da quel posto era un miracolo.

Manuel si alzò e mi allungò una mano, che strinsi, constatando la sua stretta salda, che sottolineava quanto dovessi temerlo. - Ciao, sono il padre di Aurora. Allora, ho saputo che state facendo insieme un progetto -

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