LA FUGA

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Non può averlo detto veramente. Non ci credo!

Continuava a ripetere sempre la stessa cosa. Non poteva credere che dicesse sul serio. Eppure l'aveva sentito con le sue orecchie.

''Appena questa stupidissima storia sarà finita, farò ritorno ad Asgard e qui non ci rimetterò mai più piede.''

L'aveva detto. Aveva pronunciato seriamente quelle parole, che in quel momento la ferivano come lame affilate, bloccandole il respiro nella gola.

Ha mentito. Ha mentito sin dall'inizio. E io sono cascata nella sua rete di menzogne come una stupida.

Si era nascosta dietro il grosso faggio rosso, cercando di far ritornare il suo battito cardiaco normale. In quel momento le rimaneva difficile respirare, come se l'aria intorno a lei si fosse dissolta. Il suo petto si alzava e abbassava veloce e non dava segno di decelerare. Inconsapevolmente si era fermata sotto lo stesso albero, che muto spettatore, li aveva visti nei loro fugaci e clandestini incontri, desiderosi solo di tagliare tutto il mondo fuori alla disperata ricerca di un luogo tutto loro. Ripensò a lui, alle sue parole dette a bassa voce, mentre facevano l'amore, sussurrate tra un respiro e l'altro. Le sue mani, fredde e roventi di passione. I suoi sguardi, le sue labbra. E tutto divenne un ricordo dannato, maledetto e angosciato. Era solo finzione. Lei era solo un passatempo per lui, nulla di più.
Si sedette a terra con le gambe incrociate provando a calmarsi perché il mondo iniziò a girarle sotto i piedi come una trottola; provò ad rialzarsi dopo pochi minuti ma dovette desistere, si sentiva senza forze, debole e tremendamente sola. Appoggiò la testa al tronco dell'albero riempendo i polmoni di aria.
Il risultato? Dette di stomaco.

Dopo aver vomitato si sentì un po' meglio e pulendosi la bocca con il dorso della mano, si alzò per allontanarsi da lì.
Era intenzionata a scappare via. Non importava se non le era permesso e se tutto il perimetro era recintato e sorvegliato, ci avrebbe provato e ci sarebbe riuscita. Non poteva sopportare di restare lì un minuto di più.

Prima di andare via, però, doveva prendere una cosa.

Ritornò indietro, dove di solito gli agenti lasciavano le auto incustodite, tranquilli che nessuno le avrebbe rubate. Ispezionò ogni singola vettura con fare disinvolto, in modo da non destare sospetti, in cerca di un telefono.

Ne trovò uno al quarto tentativo. Due agenti erano scesi per dirigersi dentro la base e avevano lasciato gli sportelli aperti con dentro i propri oggetti personali.

Prese il telefono e scappò via.
Corse, corse tanto. Corse fin quando non si trovò la strada sbarrata dal muro. Alzò il capo e vide che era troppo alto per poterlo scavalcare e non c'era neanche modo di arrampicarsi. Il muro era troppo liscio affinché trovasse delle sporgenze.
Batté una mano contro la superficie con stizza, respirando a fondo e cercando un modo per evadere.
Controllò intorno a se per vedere se ci fosse qualche appiglio che le consentisse di oltrepassare la recinzione.
Non lontano da dove si era fermata, c'era un albero la cui chioma sfiorava a malapena l'estremità del muro.
Senza ragionarci sopra, infilò il telefono nella tasca dei pantaloncini e iniziò la rampicata. Le lacrime le impedivano di vedere bene e la nausea era tornata più forte di prima; si fece forza continuando a salire sempre più in alto, fino ad arrivare al ramo sporgente che aveva visto da terra.
Una volta in cima, si mise a sedere sul tronco con le gambe sospese nel vuoto; dette uno sguardo a terra e fu attraversata da un brivido di panico. Inconsapevolmente aveva fatto una cosa che di solito non le sarebbe mai passato per la testa: arrampicarsi in alto. E lei era davvero molto in alto. Guardò in basso per qualche istante, poi spostò gli occhi sulla distanza che intercorreva tra la fine del ramo e il muro. Oltre l'altezza doveva pure considerare la distanza, di circa un metro, e la resistenza del suo appoggio. Prese le misure.

La Gemma dell'AnimaWhere stories live. Discover now