Capitolo 6

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«Parla!»

La frusta schioccò, lasciando un altro profondo segno, a pochi centimetri da quello precedente.

Era come un quadro di squarci e lividi, che bruciava più del fuoco, provocava un dolore tale da annebbiare la mente.

«I-Io non ricordo nulla...» ripeté per almeno la centesima volta, mano a mano con voce sempre più insicura, debole, esasperata.

«Smettila di mentire!»

Un colpo, due, tre. Le urla le morirono in gola. Una lacrima le solcò una guancia, mescolandosi al sangue che sgorgava dal grande taglio che le rovinava il viso.

Gli esili polsi feriti dalle spesse e fredde catene che la tenevano appesa al soffitto, le gambe a penzoloni prive di forza, la testa ciondolante, i vestiti lacerati, la mente spogliata della propria dignità.

L'odore di muffa e morte le bruciava nelle narici, nei polmoni, nello stomaco. I suoi deboli singhiozzi erano l'unica cosa che interrompeva il silenzio tra una tortura e l'altra, che le attanagliava la testa e le stringeva il cuore.

Prese a tremare, terrorizzata da cosa avrebbero potuto farle ancora.

L'uomo si avvicinava, la frusta ondeggiava accanto alla sua figura nera e possente. Chiuse gli occhi, in attesa. Pregò con tutta se stessa che quello sarebbe stato l'ultimo colpo.

Che l'avrebbe uccisa.

«Basta così.»

Rabbrividì. Il disgusto era forte in quelle parole, pronunciate con una calma tale, da far dubitare che chi le avesse proferite fosse umano.

«I-Inoichi-San.»

«Fatti da parte.»

Ayumi alzò lentamente lo sguardo, fino ad incontrare due occhi vitrei, che non lasciavano trasparire alcuna emozione.

«Shinranshin no Jutsu*»

Ancora una volta, il ricordo del fratello tornò, simile a quell'ombra sulla quale le piaceva fantasticare da bambina.

«Ayumi...»

Corse più che poteva verso quel sorriso così dolce, quel viso così familiare, quegli occhi tanto simili ai suoi.

«Nii-San!»

Rideva spensierata, come fosse tornata bambina. Si buttò tra le sue braccia.

Un dolore lancinante al ventre; il terribile sapore del sangue che le invadeva i sensi, il ghigno del ragazzo.

Improvvisamente, tornò ad essere una sedicenne debole, magra, ferita, confusa. Tutt'intorno a lei il fuoco divorava ogni cosa, mentre le ferite ancora aperte la consumavano lentamente.

Cacciò un urlo straziante. Era stata tradita. Ancora.

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Il soffitto scrostato dell'ospedale fu l'unica cosa che lo accolse, costringendolo a socchiudere gli occhi per la troppa luce.

Aveva il fiatone, il battito del suo cuore non accennava a calmarsi, mentre il sudore gli scendeva lungo la schiena, facendolo rabbrividire.

Conosceva troppo bene quelle grida.
Erano le stesse che avevano segnato l'inizio di tutto, le stesse che erano riecheggiate nella foresta ghiacciata, sotto quel cielo vitreo.

Ci mise qualche istante per mettere assieme tutti i pezzi, che sembravano essere schizzati in un angolo remoto della sua mente confusa, facendogli dubitare di essere vivo.
Poi, il ricordo di quello sguardo colmo di lacrime si fece strada con prepotenza tra ogni altro pensiero.

«Ayumi!»

Scattò in piedi, ignorando il dolore lancinante che lo aveva invaso, per poi dirigersi come un fulmine tra i corridoi, liberandosi dalle infermiere che cercavano invano di fermarlo.

Si immobilizzò, come fosse paralizzato. I ninja medici non facevano che correre da una stanza all'altra, le mani ed i camici sudici di sangue, la tensione nell'aria.

Si precipitò giù dalle scale, fino all'atrio ed alle grande porte vetrate, ridotte in frantumi. Cadde in ginocchio tra la neve fredda.
Il villaggio era mezzo distrutto.
Tanti gli shinobi a terra, i civili feriti, i bambini soli.

«Cosa ho fatto...»

Si portò le mani alla testa, tremando convulsamente.
Obito, Rin, il suo maestro, lo osservavano con sguardo severo.

Si guardò il braccio.

Era sporco di sangue.

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*Shinranshin no Jutsu = Tecnica dello sconvolgimento spirituale, abilità del clan Yamanaka, utile a scoprire i ricordi della vittima.
Usata da Inoichi Yamanaka (il padre di Ino) nelle sessioni di tortura dei prigionieri.

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FadedWhere stories live. Discover now