Capitolo 8

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«Dannazione, Kakashi!» 

Sbatté il pugno sulla grande scrivania, ingombra di pergamene e fogli.

Le ampie finestre incrinate, i cocci ancora sparsi per la stanza, le crepe e l'intonaco sbriciolato davano un'aria ancora più inquietante allo studio dell'Hokage, che mai era stato così infuriato. La sua possente voce rimbombò per i corridoi semideserti e bui del grande palazzo, di solito animato da un acceso via vai di shinobi, membri delle Forze Speciali e della squadra medica.

Erano tutti impegnati nella ricostruzione del villaggio; sebbene fossero passate quasi due settimane, i lavori andavano a rilento. La guerra era finita da poco ed i fondi erano quel che erano. 

Non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo; sapeva che non lo avrebbe retto.

Sospirò «Si può sapere cosa accidenti ti succede? Non è da te un comportamento tanto irrispettoso! Costringere le guardie a tramortirti! Cosa ti è saltato in mente?»

Strinse i pugni. Non voleva lasciarla da sola in quel posto. Era ferita, debole, spogliata del proprio orgoglio. Vederla in quelle condizioni gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Non sopportava l'idea che dovesse passare tutto quello per colpa sua.

«L'hanno torturata, picchiata, violentata. Ha solo sedici anni! È una ragazzina!» Gli tremò per un momento la voce; stava giocando con il fuoco ed il rischio di rimanere bruciato era troppo alto.

«Ha distrutto mezzo villaggio! Hai una vaga idea del pericolo che stiamo correndo in questo momento? Potremmo essere attaccati da un momento all'altro. La pace è troppo fragile. E la Foglia non sopporterà altre perdite, soprattutto se causate da una ragazzina di sedici anni!» Accentuò le ultime parole, come per rinfacciarle al ninja, che era ormai sul punto di esplodere.

«Cosa ne sarà di lei?» 

L'Hokage accese la pipa e ne prese una profonda boccata, cercando di rilassarsi un poco.

«Il consiglio deve ancora decidere. Ha messo a repentaglio la sicurezza, ferito gravemente molti <shinobi... E ucciso alcuni civili.»

Il cuore di Kakashi perse un battito. Aveva... Tolto la vita a delle persone?

«No. Ayumi non ne sarebbe capace. C'è qualcosa che non va! Hokage-Sama, la prego. Mi dia un'altra possibilità!»

Il Sarutobi socchiuse gli occhi, respirando a fondo «No.»

«Ma Signore, io-»

«No! Sei troppo coinvolto in questa faccenda. Ormai è questione di pochi giorni. Probabilmente, il consiglio deciderà per-» Esitò un momento. Sapeva quanto fosse difficile per il ninja, ma non poteva permettersi di lasciare impunito un simile reato «Per la pena di morte.»

Altri avrebbero potuto seguire l'esempio di quella ragazza, sarebbe scoppiato il caos tra gli abitanti e, forse, si sarebbe arrivati ad una guerra civile.
Il ricordo di Itachi Uchiha gli penetrò nella mente, invadendo ogni altro pensiero. Non avrebbe più sacrificato membri del villaggio per colpa di un folle.
Avrebbe sradicato il problema sul nascere.

«Va' a casa e riposati. Fai in modo che le tue ferite guariscano. Il villaggio ha bisogno di te.»

«Come posso proteggere il mio villaggio, se non sono nemmeno in grado di mantenere una promessa?» sibilò tra i denti.

«U-Una promessa?» 

Credeva che ormai avesse superato quella dannata storia. Erano passati anni.
Eppure, il fantasma di quella notte di sangue non aveva smesso di tormentarlo.

«Il villaggio viene al primo posto, Kakashi. Se verrà attaccato ancora, il sacrificio di Rin sarà stato vano.»

Aveva toccato un tasto dolente, ne era consapevole. Ma doveva aprire gli occhi, tornare il ninja di pochi giorni prima. L'Anbu freddo ed impassibile di sempre.

«Come può parlare di Rin? Lei non sa nulla!» Alzò la voce più del dovuto.

Non poteva sopportare che il ricordo della sua compagna gli fosse rivoltato contro in quel modo.

Strinse i pugni fino a penetrare la carne con le unghie. Girò sui tacchi e se ne andò, lasciando l'Hokage attonito.

Avrebbe fatto giustizia. Avrebbe portato via Ayumi da quel posto, a costo di diventare un nukenin, di essere braccato per il resto della vita, catturato, torturato, ucciso.
Non avrebbe più permesso che qualcuno le facesse del male.

«Sii la sua ombra.»

L'Anbu annuì in silenzio, chinando il capo, per poi sparire. Era stato messo in guardia su quanto fosse scaltro l'Hatake. Conosceva bene le sue abitudini, i suoi modi di fare.
Sebbene fosse un tipo piuttosto riservato, nascosto da una maschera anche al di fuori delle missioni, aveva imparato a stare al suo passo.
Ma non importava più, ormai. Aveva ricevuto un ordine e non avrebbe commesso lo stesso errore del suo Senpai*.

Quella sera, il villaggio era insolitamente tranquillo. Il silenzio era quasi inquietante, la luna piena illuminava pallidamente le strade.
La neve aveva smesso di cadere, lasciando il posto ad un meraviglioso cielo limpido; il freddo era pungente, l'aria secca bruciava nei polmoni.
I cantieri erano immobili, immersi dall'oscurità. Gli scheletri delle nuove abitazioni parevano fantasmi, ombre paurose, mostri nascosti nel buio.

Kakashi camminava lentamente con le mani in tasca, stingendosi nella divisa da jonin. Il coprifronte nascondeva le medicazioni alla nuca, che era stata ben fasciata da un'infermiera all'ospedale di Konoha. Era stato dimesso praticamente subito, non era una ferita profonda; altri shinobi erano messi molto peggio.
Com'era possibile che quella ragazza tanto debole ed indifesa avesse potuto fare tanti danni?
Eppure, l'Hokage non aveva alcun dubbio: era stata lei.
Che sapesse molto di più su quella faccenda di quanto volesse far credere?
Improbabile, ma non impossibile.

Si fermò ed alzò gli occhi al cielo. Si perse tra le infinite stelle, che rendevano la notte meno cupa. Sospirò profondamente.

«Ayumi...» sussurrò con il cuore in gola, lo stomaco stretto in una morsa.

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La luce della luna piena filtrava attraverso la minuscola finestra. Tra le sbarre arrugginite, poteva scorgere il cielo. Non aveva mai visto tante stelle.
Rabbrividì. Faceva un freddo cane, l'umidità le penetrava nelle ossa, gli squarci le bruciavano, i lividi le dolevano.
Riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti.
Un rivolo di sangue le sporcò le labbra viola, una lacrima le solcò il viso rovinato dalla frusta.

Il sonno minacciava di avere la meglio.
Pregò di non svegliarsi più, di sognare un'ultima volta quel viso nascosto, quei capelli d'argento, quella voce così calda.
Quel villaggio al quale sentiva di appartenere.
Quel ragazzo che, per la prima volta, l'aveva fatta sentire viva.

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*Senpai = parola usata per indicare una persona molto importante, come il proprio mentore o il ragazzo di cui si è innamorati (non in questo caso, ovviamente).
Viene usato dopo i nomi, un po' come -San, -Chan, -Kun , ecc.

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