Capitolo 7

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«Nome?»

«Hatake Kakashi.»

«Hai il permesso?»

Tirò fuori dal tascapane una pergamena color panna, priva di decorazioni.
Il sigillo scarlatto del Paese del Fuoco stagliava onnipotente sulla carta pallida e rovinata.

«Molto bene. Cella 247.»

Camminava lentamente per i corridoi freddi ed umidi della prigione del villaggio, illuminati fiocamente da alcune fiaccole, fissate ai muri di pietra.
L'odore di muffa e sangue penetrava nelle narici, rendendo l'aria difficile da respirare. Il suono di ogni passo rimbombava, disperdendosi nell'oscurità.

"230... 231..."

Ogni porta era strettamente sorvegliata da un Anbu, impassibile e sempre pronto a sguainare la katana.

"240... 241..."

Aveva il fiatone, gli tremavano le mani. Un urlo straziato lo fece rabbrividire.

Cella 247.

Era l'ultima del'ala est, dove erano detenuti i possessori di abilità innate, resi innocui da potenti barriere. Mostrò la pergamena alla guardia,che pezzò il sigillo, per poi leggerne il contenuto per alcuni istanti, che all'Hatake parvero non passare mai.

Aveva bisogno di bearsi ancora una volta di quel sorriso, di perdersi in quegli occhi ghiacciati.

«Hai dieci minuti.»

Il tono di voce non ammetteva obiezioni. Girò lentamente la chiave nella toppa e la porta si aprì con un acuto cigolio.

Prese un profondo respiro; era terrorizzato. Le grida di dolore che aveva sognato continuavano a risuonargli nella testa, tormentandolo ed impedendogli di ragionare lucidamente.

Era tutta colpa sua. L'aveva tradita, violando il suo passato, scavando in ricordi troppo dolorosi da rivivere.

«Beh?»

L'Anbu sembrava piuttosto seccato. Era raro che qualcuno andasse a visitare i prigionieri, in particolare quelli dell'ala est.

I nukenin.

Quelli che avevano minacciato la pace, troppo agognata dagli shinobi per vedersela strappare da un folle, che ambiva a chissà quale potere.

Mosse un lento passo, scosso da un terribile presentimento.

Gli ci volle qualche istante per abituarsi alla penombra della piccola stanza; una flebile luce filtrava dalla minuscola finestrella, posta decisamente troppo in alto anche per il ninja più agile. Sbarrò l'unico occhio scoperto dal coprifronte, un brivido lo percorse, un rivolo di sudore freddo gli scese lungo la schiena.

Il corpo incatenato e seminudo della ragazza era riverso sul terreno gelido, privo di conoscenza; se non avesse percepito il suo chakra, sebbene terribilmente debole, avrebbe pensato che si fosse addormentata per sempre.

Si precipitò accanto a lei, inginocchiandosi e prendendola tra le braccia. Era coperta di lividi e sangue, le unghie le erano state strappate, il viso percosso fino a massacrarlo.

«Ayumi!»

La chiamò, disperato. Una lacrima sfuggì al suo controllo, bagnando il tessuto nero che gli nascondeva il volto.

«Mi dispiace tanto...»

Si sentì un mostro. Se solo avesse avuto il coraggio di infrangere le regole, di disobbedire, di ribellarsi...

«Ka-Kakashi...»

Temette di esserselo solo immaginato. Incontrò quegli occhi che tanto gli erano mancati; stava sorridendo.

Era un sorriso debole, ma estremamente sincero, tenero. Il cuore dell'Hatake perse un battito. Ayumi allungò una mano verso di lui, tremando.
Gli sfiorò il viso, asciugando la lacrima; Kakashi la prese tra le sue, proprio come aveva fatto all'ospedale.

«Ti tirerò fuori da questo posto. Te lo prometto.»

Quelle parole le scaldarono il cuore. Nonostante fosse a conoscenza del mostro che era diventata, le era stato vicino.

E lei l'aveva perdonato da tempo, ormai; era consapevole che non l'avesse fatto di sua spontanea volontà. Gli era stato ordinato, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Come sapeva che, probabilmente, non sarebbe riuscito a mantenere quella promessa; avrebbe voluto dire tradire il villaggio, trasformarsi in un criminale, essere braccato dagli Anbu per il resto dei suoi giorni.

Eppure, in quella voce così calda e sicura, aveva avvertito una decisione tale da far inquietare l'animo più impassibile.
Era brillato qualcosa nel suo sguardo, nero come la pece, così profondo che avrebbe potuto perdervisi.

La vista iniziò ad offuscarsi, il dolore delle ferite ricominciò a farsi sentire; non riusciva più a muovere un solo muscolo, era come paralizzata. Il ricordo delle notti passate la fece rabbrividire.

«Tempo scaduto.»

Sentì svanire il rassicurante contatto del ninja, che fu costretto ad alzarsi di scatto.

«Kakashi...»

Non voleva che se ne andasse.

«No! Datemi ancora un po' di tempo!»

Dovette intervenire un'altra guardia per riuscire a trascinarlo fuori dalla cella.

«Kakashi!» gridò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il dolore le trafisse il petto, iniziò a tossire violentemente, contorcendosi su sé stessa. Cercò di trascinarsi, ma robuste catene le stringevano le caviglie, impedendole ogni movimento.

«Adesso basta...» ringhiò un Anbu, alzandole il bastone contro. Una lacrima le rigò il viso. Serrò gli occhi, terrorizzata.

«Ayumi!»

Si dimenò con tutte le sue forze, cercando di liberarsi dalla presa delle forze speciali. Una violenta botta alla nuca lo fece attraversare da capo a piedi da una forte scossa, il colpo del terreno gli fece fremere le ossa.

Le grida agghiaccianti della ragazza lo fecero sentire male.

Poi, il buio.

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FadedWhere stories live. Discover now