13. L'uno e i molti

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Il vento gli scompigliava i capelli e il sole dorato gettava i suoi raggi sull'immensa piana di erba alta e gialla che si chinava ondeggiando al vento.

Il Rosicone che lo stava portando in giro aveva un pelo morbidissimo, e avrebbe potuto restare seduto lì per sempre, con la guancia affondata nella tenerezza della sua testa. Le grandi orecchie dell'animale fremevano al minimo rumore, orientandosi verso di esso come dei magnifici rador. Era fantastico.

- Non sei stanco? - chiese il Rosicone, rallentando il ritmo della corsa. - E' da un bel po' che stiamo viaggiando. Ti farebbe bene riposare.

Jack aprì gli occhi, e appoggiò il mento fra le braccia incrociate, distendendosi a pancia in giù. Il suo corpo si incastrava perfettamente fra le sottili spalle del Rosicone, e non rischiava di cadere. Era come essere distesi su una soffice coperta tiepida. Avrebbe potuto addormentarsi.

- In effetti sono un po' stanco - mormorò, soffocando uno sbadiglio. - Conosci qualche posto tranquillo dove passare la notte?

- Ma certo - rispose l'animale. - Tu puoi dormire, nel frattempo. Non ti lascerò cadere, non preoccuparti.

Jack si raggomitolò su un fianco, mentre osservava la palla di fuoco all'orizzonte tramontare silenziosa. Il cielo era terso, privo di nuvole grigie e pesanti. Ogni cosa era dolce e confortevole, dal vento caldo fino ai versi degli animali in lontananza: non c'era traccia di malvagità in quel posto, né di violenza.

Avrebbe potuto restare lì per sempre. Era tutto quello che aveva sempre sognato. Per la prima volta, non aveva più paura.

***

Jack scivolò lungo il dorso del Rosicone, cadendo su un cumulo di paglia. Lo spostamento lo svegliò, e si guardò attorno, cercando di capire dove fosse capitato. Si trovava in un buco oscuro, illuminato da degli insetti dai quali emanava un alone soffuso color arancio. Uno di essi si posò sul braccio destro di Jack, che lo osservò affascinato, mentre questo risaliva placido lungo di esso, le ali reticolate ripiegate sulla pancia bombata. Era da lì che proveniva la luce.

Jack cercò di farlo salire su un dito, ma l'esserino volò via con un ronzio leggero, andando a unirsi ai suoi fratelli in una delle cavità che popolavano la tana del Rosicone. Quello doveva essere un alveare.

Il ragazzo si rese conto in quel momento di non essere solo.

C'erano delle piccole palle di pelo in mezzo alla paglia, che lo osservavano con spaventati occhi blu.

- Ehi - mormorò Jack, cercando di avvicinarle. - Non abbiate paura, non voglio farvi del male.

Non appena si avvicinò, queste andarono dall'altra parte della caverna, zampettando rapide. Non appena Jack arrivava a pochi passi da loro, si dividevano, infilandosi in diversi cumuli di paglia per non farsi vedere. Alla fine il ragazzo infilò le braccia in mezzo all'erba essiccata e riuscì ad acciuffare uno degli animaletti. Si trattava di un cucciolo di Rosicone.

Era talmente carino che Jack avrebbe voluto portarlo con sé, però non poteva separarlo dai suoi fratellini, sarebbe stato crudele.

Lo lasciò andare e la palla di pelo zampettò verso la montagnola di piccoli Rosiconi. Dormivano vicini, uno sopra l'altro, per tenersi al caldo e farsi compagnia. Avevano gli occhi socchiusi e le orecchie ripiegate sul capo. Non gli erano ancora cresciute le corna, dunque non potevano difendersi, a differenza di un adulto. Erano ancora solo due piccole protuberanze ricoperte di peluria che lottavano per emergere dalla loro fronte.

- Posso dormire qui? - chiese Jack, appoggiando la schiena contro il fianco di uno dei mini Rosiconi. Non sapevano ancora parlare, dunque non risposero, ma emisero un verso che il ragazzo interpretò come un "sì". Non sembrava avessero più paura di lui. Forse avevano capito che non aveva cattive intenzioni.

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