37. UNA LUCE NEL BUIO

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Nick ancora non riusciva a crederci.

Lo avevano assolto.

Teofane era riemerso dal viaggio nella mente di Morris con un grido e aveva vomitato, tossendo anche l'anima. Gli anziani erano andati a soccorrerlo e dalle sue labbra inacidite avevano udito la parola "assolvetelo".

Come poteva essere?

Perché avrebbe dovuto assolverlo, dopo tutto quello che aveva fatto? Era ridicolo!

Ma ormai non aveva senso mettersi a litigare anche riguardo quello. Nick voleva solo ritirarsi nel suo baobab-casa e non uscirne mai più. Restare solo, senza vedere nessuno. Ogni cosa gli era odiosa, la compagnia degli altri lo seccava, vederli felici lo faceva impazzire. Preferiva di gran lunga nascondersi, ed era quello che avrebbe fatto, anche se prima voleva andare da Jack. Glielo doveva, non poteva essere indifferente, non nei suoi confronti.

***

Morris era rannicchiato per terra e stava accarezzando con la punta delle dita i filamenti che fuoriuscivano dalla sua testa, dai suoi polsi e dalle caviglie. Erano come catene, ma la differenza era che lui stesso se le era imposte. Dopo aver volato tanto in alto, doveva costringersi a restare in basso. Non avrebbe permesso che quanto era accaduto a Jack si ripetesse.

L'uomo si passò le mani sulla pelle rasata della testa, sulla quale erano ancora evidenti i tagli che si era inferto. Con la coda dell'occhio vide il corpo di suo fratello a terra e strizzò gli occhi, scuotendo il capo per scacciare la sua presenza. Era solo un'allucinazione, un'immagine creata dalla sua coscienza per ricordargli cos'aveva fatto.

Deglutì e allungò una mano scheletrica verso il comodino alla sua destra, raccogliendo un bicchiere. Bevve la linfa al suo interno, per poi scaraventarlo contro il muro. Il legno emise un rumore secco, rotolando sul pavimento, lasciandosi dietro una scia di goccioline lucide.

Si rese conto solo dopo che Teofane stava salendo le scale, ma non si diede la pena di raccogliere il bicchiere, volgendo le spalle alla porta.

Il capo villaggio si chinò a terra e si passò il bicchiere da una mano all'altra, prima di posarlo sul tavolo.

- Che vuoi? – sibilò Morris, continuando a mostrargli la schiena, dalla quale le vertebre emergevano come sassi levigati. – Credevo ci fossimo già detti tutto.

Teofane sospirò, sedendosi sul letto, che cigolò sotto il suo peso. Incrociò le dita delle mani, gli occhi ciechi fissi su un punto del pavimento.

- E' vero, sei stato assolto – disse, come se anche lui non ci credesse. – Dopo aver saputo quello che avevi fatto per la nostra specie, per gli umani... per tutti, come avremmo potuto condannarti a morte? Hai distrutto il progetto genocida, salvandoci dal Primo.

Morris preferì non contraddirlo. Se fosse dipeso da lui, avrebbe detto che Robert si era reso conto che, uccidendoli tutti, non sarebbe stato in grado di proseguire i suoi studi, ma era meglio tenere per sé quelle considerazioni. Era bello sentire qualcosa di positivo sul proprio conto, nonostante fosse immeritato. Morris gliel'aveva già spiegato: era impossibile scindere del tutto le sue due identità. Non sarebbe stato un modo obbiettivo di vederlo. Stava a Teofane riuscire a comprendere quella duplice natura o ignorarla.

- Perché sei venuto qui, allora? – chiese al capo villaggio, seccato dal fatto che stesse girando attorno alla vera domanda che voleva porgergli anziché essere diretto.

- So cos'ho visto, Morris. Il Primo non ti lascerà andare così facilmente: verrà a cercarti, e si accanirà anche su di noi.

- Me ne andrò.

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