Capitolo 13

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CHRISTIAN
«Questa me la paghi!» ringhio
La inseguo uscendo dall'acqua.
Corro. Corro fino ad arrivare dietro casa mia dove è arrivata lei.
Gli prendo i fianchi. Mi cade fra le braccia.
«Presa!» rido cerco di alzarla ma lei non mi sente.
«E-eléna..? Eléna che succede? A-amore...»
Che cosa le succede? È svenuta?
Stava bene un secondo fa.
La prendo in braccio la porto in casa.
La porta sbatte mentre la chiudo con un calcio.
La faccio stendere sul divano, ma lei non reagisce ed è molto pallida.
«Piccola che succede...?» gli accarezzo i capelli e la guancia e sento che molto fredda.
«Cazzo!» urlo e corro a prendere il telefono.

L'ambulanza sarà qui a momenti.
Le bagno un po' il viso con dell'acqua fresca ma nulla.
Non reagisce.
È fredda come il ghiaccio e ha le labbra viola.
La porta si apre di colpo.
I medici appaiono sulla soglia e vanno dritti da Eléna.
«Funzonalità cardiache? Pressione?» circa tre medici sono in torno a lei.
Tutti parlano e voce alta e si muovono in fretta.
«Carica a cento. Libera!» urla una donna dai capelli neri legati in una coda.
Ha in mano un marchingegno.
Sembra un defibrillatore.
Un uomo gli mette l'ossigeno e tutti si calmano.
«Pressione e battito regolare.» dice la donna dai capelli neri.
Uno dei medici prende la barella e la porta in casa.
Sollevano Eléna e la fanno stendere sulla barella, portandola nell'ambulanza.
Faccio per entrare ma un ragazzo alto e moro mi ferma.
Io lo spintono via ed entro nell'ambulanza con lei.
Le porte si chiudono.
La sirena si accende e l'ambulanza parte a razzo sul viale alberato di casa mia.

Circa dieci minuti più tardi arriviamo in ospedale.
Medici, infermieri e paramedici si affollano in forno a lei, portando di corsa nell'ospedale.
Io sono costretto a restare fuori dalla sala dov'è lei.
Cammino avanti e indietro per il corridoio.
Prendo a pugni il muro dalla rabbia.
Sti stronzi dei medici non mi dicono ancora nulla.
Un'infermiera si avvicina a me per fasciarmi la mano che ha le nocche inseguinate.
«Ti chiamo il medico.» dice tranquillamente.
Il la prendo per il braccio e lei sussulta.
«No. Non mi serve un medico. Come sta la ragazza?» chiedo e vedo il suo sguardo un po' sofferente per la mia stretta presa al suo braccio.
La lascio andare e lei se lo massaggia.
«Sta bene. Ma deve stare sotto osservezione per stanotte.» dice e io mi tranquillizzo un po'.
«Salve, io sono il dottor Mark Galler.» dice un uomo alto e moro sulla quarantina.
«Salve. Come sta?» chiedo impaziente.
«Sta bene. Ha avuto una crisi respiratoria. Da quanto soffre di questi problemi questa ragazza?» chiede e io non so cosa risponsere.
Non mi ha mai detto di avere questi problemi.
O forse non lo sapeva nemmeno lei.
«Non lo so. Non me ne ha mai parlato.» dico semplicenente e l'uomo annuisce.
«Capisco.»
Resto li tutta la giornata senza capire niente.
Perchè non me ne ha parlato?
Lo sapeva? Sapeva che stava male?
Mi passano mille domande per la mente.
Le nocche ormai hanno smesso di sanguinare grande alla fasciature dell'infermiera.
Mi siedo in sala d'aspetto, aspettando che mi dicano qualcosa.
Passano ore e ore e ancora non dicono niente.
«Signore?»
Apro gli occhi e vedo l'infermiera di ore fa.
«Vada a casa, non può fare niente qui ora. Vada a riposarsi.» dice
Faccio di no con la testa ma lei insiste.
Mi alzo ed esco.
Chiamo un taxi e pochi minuti dopo sono già a casa.
Ma non vado a riposare.
Prendo la macchina e ritorno in ospedale da Eléna.
Mi fermo nel parcheggio.
Se non posso star li, starò qui a riposare finché non mi diranno qualcosa.
Spengo l'auto, passo ai posti dietro e mi sdraio.
Non passo molto tempo che mi addormento.

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