Daddy's Home

3.6K 72 1
                                    

*Il pomeriggio*

Quella casa era chiaramente arredata da un qualche architetto standard. Casa prettamente di un uomo solo, in cui la lavastoviglie fungeva più da ripostiglio per i piatti che da pulisci piatti; in cui il fulcro dell'appartamento era la libreria che divideva l'enorme open space tra cucina e salone.

Amava i libri e anche dopo il divorzio, dopo che portò via tutte le sue cose, era comunque riuscito a riempire quel muro di libri, lasciandone alcuni anche a noi.

Aveva due camere, la sua e una per gli ospiti, forse normalmente adibita a ripostiglio delle cianfrusaglie da nascondere ad occhi indiscreti, mentre invece in quel momento era una stanza con un letto matrimoniale, una grande vetrata e un armadio cielo-terra.

I muri erano in cemento senza colore e il pavimento in un freddo nero, anch'esso in cemento. Era un enorme container con pezzi d'arte d'avanguardia e poca personalità.

Una cosa era più che certa: in quella casa non c'erano nessuna donna, a parte me in quel preciso istante, che vagavo come un'anima in pena in cerca di pace in quell'enorme buco freddo.

«Purtroppo c'è un solo bagno, ma ti ho lasciato un po' di spazio sul ripiano vicino lo specchio» mi venne incontro, notandomi al centro del corridoio a guardarmi in giro «Se ti serve qualcosa che non trovi basta che me lo chiedi» mi sorrise, non sapendo probabilmente che altro dirmi.

Mi guardò un altro po', forse cercando un qualcosa da dirmi, ma non trovò nulla dato che se ne andò in cucina rispondendo al telefono che squillava incessantemente.

Tornai in quella che sarebbe stata la mia stanza per quei giorni, sedendomi ai piedi del letto, ammirando il panorama che si presentava alla mia destra grazie all'enorme vetrata.

Se fossi rimasta a casa, non avrei mai sentito la mancanza di mia madre e dei miei spazi, ma lì dentro mi sentivo incompleta ed avevo una strana sensazione di inappartenenza.

Tutto lì dentro non mi ricordava nulla, non c'era niente della mia infanzia o che parlasse di una famiglia. Sì, aveva qualche foto mia e di Karen qua e là, ma non aveva nient'altro che poteva ricordare le nostre vite.

Mi sentivo a casa di uno sconosciuto.

«Ellen» mi cercò.

«Sono in camera» alzai appena un po' la voce, vedendolo spuntare dal corridoio entrando lì dentro con aria più spaesata della mia.

«Mi dispiace tanto, ma questa sera ho una riunione per un caso importante che sto seguendo, e credo finirò molto tardi. Non ti spiace stare qui da sola, spero?» mi guardò titubante, quasi timoroso di una mia reazione.

«Quanto tardi?» abbassai lo sguardo, cercando di celare la rabbia.

«Non lo so, ma non credo che finirò prima delle tre» si grattò la nuca, coperta ancora da un ammasso di capelli brizzolati e mossi.

«Va bene» sospirai affranta «Quindi domani mattina dovrò prendere il treno» annuii a me stessa.

«Ti lascio i soldi sulla libreria così fai l'abbonamento settimanale» propose, cominciando a prendere i soldi dal portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni.

«Grazie» mormorai, guardandolo contare.

«Te ne lascio alcuni in più per qualsiasi evenienza» borbottò, alzando nuovamente lo sguardo su di me «Mi dispiace veramente tanto, Ellen. Avevo prenotato in un ristorantino carino qua sotto casa, non immaginavo mai questa riunione» continuò a scusarsi.

«Non preoccuparti» scrollai le spalle.

«Mi faccio una doccia e vado, tu intanto accendi la televisione...E' casa tua questa, fai tutto quello che vuoi» mi sorrise lievemente, come se appena uscito da casa di mamma fosse diventato un povero cane abbandonato a sé stesso, che ad ogni minimo segno di compagnia scodinzolava felice.

L-o-v-e || Harry StylesWhere stories live. Discover now