3. Una vita meno ordinaria

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«Ehilà!»

Thomas avvertì che lo toccavano sulla spalla e si voltò senza smettere di imbustare la spesa. Era un sabato di ordinaria affluenza all'interno del supermercato.

«Alexander.» 

Il suo migliore amico gli sorrideva. 

Alexander lasciò il suo cestino sul nastro trasportatore; avanzò nello spazio fra una cassa e l'altra e cominciò ad aiutare Thomas a sistemare la merce acquistata nei sacchetti di carta.

«È da tanto che non ti fai più vedere al locale. Mi hanno detto che hai una ragazza, deve essere per quello che ti sei fatto forestiero.» Scrutandolo dritto in faccia, Alexander aggiunse: «Non hai una bella cera, però».

«Ultimamente non riesco a dormire bene.» Thomas trasse dalla tasca dei pantaloni il portafoglio di pelle nera e pagò il dovuto.

La cassiera, che lo conosceva bene dal momento che erano colleghi, disse: «Ecco, te l'ha detto anche lui che non stai bene. Ascoltami, Tom. So che non è bello sentirselo dire, ma dovresti farti vedere da un dottore.»

Dopodiché, mentre il ragazzo sgombrava il campo per il turno dell'amico, iniziò a battere la spesa tendendo un orecchio alla conversazione.

«Non sei di turno?»

«Ho preso due settimane di ferie.» Thomas appoggiò i suoi sacchetti a terra e ricambiò la cortesia dell'amico che, nel frattempo, gli aveva passato un cartone pieghevole dove sistemare le derrate.

«Sei sempre stato strano. La gente prende le ferie quando fa caldo per godersi i giorni estivi spremendoli fino all'ultimo, mentre tu scegli ottobre. Ho sempre ammirato questo lato del tuo carattere, dritto per la strada che hai scelto senza fermate.»

Quando furono fuori, Thomas sistemò la spesa in macchina, chiuse la Jeep e andò verso l'auto dell'amico. Si appoggiò al bagagliaio mentre Alexander depositava il cartone stracarico. A quel punto, con le mani libere, si abbracciarono come i vecchi compari che erano.

«Anche la tua collega sembrava preoccupata. È per via dell'appartamento, scommetto. Non hai ancora finito di sistemarlo. Oppure sono altre le attività che ti fanno perdere ore preziose di sonno?» Alexander lo disse strizzando l'occhio nella vecchia confidenza maschile. Thomas sorrise, si grattò i corti capelli neri e tamburellò con le dita sulla carrozzeria.

«Andiamo, ti offro da bere, così mi racconti gli ultimi mesi.»

Alexander viveva dall'altro lato della città ed era il redattore di una piccola casa editrice. Non era originario dei paraggi; vi si era trasferito per frequentare il college, che aveva terminato con un anno di anticipo su Thomas perché dodici erano i mesi che li dividevano. All'apparenza era un ragazzone solido, ma il sorriso timido, l'alone di barba incolta, gli occhi cerulei e assonnati stemperavano la brutale sensualità del suo corpo. Era un individuo intelligente senza la pretesa di esserlo, amava la natura – era nato molto vicino al deserto – e la lettura. Al college avrebbe potuto ottenere tutto e tutti, un dono che aveva sempre rifiutato inimicandosi la fauna locale. Chi lo conosceva aveva finito per considerarlo uno straniero strambo, introverso, di una latenza carnale su cui molte ragazze avevano costruito simposi pomeridiani. Era entrato a far parte del gruppo di studio presieduto dalla prima ex di Thomas, che li aveva presentati. La conoscenza era sfociata in un legame virile fatto di birra, chitarre e sport acquatici, e Alexander aveva finito con il diventare il migliore amico di Thomas, nonostante non fossero cresciuti insieme come da prassi.  A volte, con l'auto di uno o dell'altro, scendevano fino all'oceano dove Alexander nuotava per migliorare le sue prestazioni sportive e Thomas cercava ispirazione musicale sulla spiaggia osservando i cavallucci marini.

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