13. La Signora

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Giugno 1992.

L'anticamera si apriva su un salone molto grande. Un giovane Anthony Garcia – trent'anni, d'aspetto nobile, atletico e languido – osservò Amy avanzare nella casa in compagnia di un ragazzo. Li precedeva una cameriera con l'abito nero e i polsini inamidati.

«Signora, sono arrivati.»

La sala era gremita, non poteva essere altrimenti alle undici e un quarto della sera. Si percepiva il calore di una massa. Anche gli odori non potevano essere ignorati.

Amy camminò a testa alta, lo sguardo vuoto di chi non pensa a niente. La Signora l'attendeva sorridente nel suo abito antico. Una mantella nera copriva una camicia di seta bianca con il colletto alto fermato da una spilla d'oro. Le gambe ossute dalle vene verdastre erano celate da una gonna altrettanto candida, a pieghe. Indossava calze spesse e nere, scarpe francesi. I capelli grigi, acconciati come nessuno usava più, erano nascosti da un cappello di feltro degli anni '20. Sedeva sulla sua sedia imbottita di porpora e cremisi come una regina. La guardò.

Amy aveva scelto un abito bianco. Sarebbe stata pallida quanto il vestito se non avesse fatto sfoggio di un rossore malsano che le bruciava le guance. Anche se cercava di tenere a bada il disagio, il corpo stentava a mentire.

La Signora la invitò ad avvicinarsi; la presentò alle persone che la circondavano e che giungevano da antri nascosti per osservare la nuova attrazione.

Un maschio con lo sguardo intenso, un etologo, disse: «Altri hanno pappagalli cacatua, noi abbiamo un umano che ne fa le veci».

«Povera cara, sarebbe meglio definirla "colomba".»

«Preferisco sia la mia tortora luttuosa.»

«Lei non è di nessuno. È qui per tutti» chiarì la Signora con la voce rigida. «Per allietare i nostri incontri con la sua purezza. Impedirò a chiunque di toccare il nostro uccellino.»

Quindi, in tono dolce, perché conosceva il rituale di passaggio e i sentimenti che strisciavano dietro di esso alla catena, si rivolse ad Amy: «Come desideri essere chiamata?».

«Con il nome che la Signora mi darà.»

«Avevi promesso di portare un nome dalla tua casa.»

«Intendo affidarmi a voi, Signora, dopo quello che ci siamo dette oggi pomeriggio. Entrerò qui con il mio, Amily.»

«È di quelle che non scelgono scappatoie» disse l'etologo.

«Perché il nome è bizzarro di suo» rispose la donna che gli era a fianco.

La Signora sorrise e ordinò che facessero scendere una grossa gabbia di ferro dal soffitto. Era identica ad una voliera: Amy avrebbe passato lì dentro le ore all'interno della casa. Prigioniera sulla parola e per volontà.

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