La città dei vampiri

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Non farlo, smettila, che fine ha fatto la tua razionalità?
Milioni di domande affollarono la sua mente in quel preciso istante, in cui le sue mani vagavano vorticosamente tra vestiti e cianfrusaglie, piegati e posizionati accuratamente all'interno di una valigia dal tessuto spugnoso, il cui colore nero era comunque più chiaro dell'anima della persona al quale era destinato il suo viaggio.
Si ripeté più e più volte che era per una giusta causa, avrebbe risolto il dilemma Mikaelson e sarebbe ritornata a casa dalla sua famiglia, nella sua amata routine, dove il pericolo non era nient'altro che un ricordo sbiadito.
Ma lo sapeva, era perfettamente a conoscenza, del fatto che il cognome Mikaelson non portasse altro che innumerevoli problemi, che non si sarebbero potuti risolvere come risolvevi un semplice problema di matematica.
Tutti i pensieri stavano iniziando ad opprimerla, offuscando il suo buon senso, che le fece emettere un piccolo grugnito liberatorio, susseguito dallo sbattere del palmo della mano sul letto accanto alla valigia spalancata, ancora incompleta.
Perché doveva toccare a lei? Miliardi di persone conoscevano Klaus da molto più tempo di lei, sapevano sicuramente come anticipare le sue mosse e salvare così la situazione, concludendo il tutto con un Klaus irato e irrequieto, che tramava la sua prossima vendetta contro colui che aveva osato sabotare i suoi spargimenti di sangue.
Ma la risposta era più che palese, toccava a lei perché era l'unica, l'unica che forse avrebbe potuto porre fine definitivamente a ciò che stava accadendo nella mente malsana di quel'ibrido, che annaspava, segretamente, nella sua stessa oscurità. Si sedette dove poco prima aveva scatenato la sua rabbia, portando le mani tra le onde bionde in un chiaro segno di frustrazione, e se non ci fosse riuscita? Se il suo piombare in una città a lei sconosciuta, in cerca di neanche lei sapeva cosa, si sarebbe rilevato un totale fiasco?
Scosse lievemente la testa, come per scacciare via quel pessimismo che la stava assalendo.
Lei era Caroline Salvatore Forbes, miss mystic falls, ex capo cheerleader e presidentessa di quasi ogni fan club che fosse presente nella sua vecchia scuola e ora madre di due fantastiche gemelle e preside di un eccellente scuola.
Ma il vantaggio utile nella faccenda Klaus non era presente in nessuno di quei titoli, il suo vantaggio era quello di essere riuscita ad ammaliarlo diversi anni prima, non ne sapeva il motivo, o forse, dopo la decina di volte in cui lui le aveva elencato le motivazioni, aveva deciso di ignorare la questione e archiviarla nell'angolo più buio del suo cervello.
Sollevò lo sguardo sull'ampia scelta di abiti che l'armadio, ad ante spalancate, le stava mostrando. Quanto tempo sarebbe stata via? Due, tre giorni, non di più.
Trattenersi non era nei programmi, e anche se questo viaggio, in primis, non lo era, avrebbe almeno dovuto imporsi un limite di tempo in cui tutta quell'assurdità sarebbe terminata, compiuta o meno.
Richiuse le due estremità del baule, legandole tra loro dalla zip che stridette al passaggio del gancetto, supponendo che ciò che conteneva era più che sufficiente per la sua vacanzetta nella città dei vampiri.
Il volo sarebbe stato quel pomeriggio, si era preoccupata di stilare una lista di compiti per Alaric, le cose che Lizzie e Josie potevano e non potevano fare, il loro coprifuoco e ricalcato, con svariate sottolineature che per poco non bucavano il foglio "Se oserai fare di testa tua lo verrò a sapere, STAI ATTENTO".
Come avviso in caso di una piccola voglia di infrangere le sue semplici disposizioni.
Si sollevò dal suo comodo letto, il quale era appena stato utilizzato come pungiball della sua frustrazione e impugnò il manico in metallo, che si allungò velocemente di quasi mezzo metro, arrivando all'altezza del fianco della giovane vampira bionda.
Il suo sguardo scrutò per un ultima volta la sua stanza perfettamente ordinata, che si augurò sarebbe rimasta così durante tutta la sua assenza.
Avanzò, prendosi tutto il tempo di cui necessitava, verso le scale, scendendole con altrettanta lentezza, lanciando un'occhiata all'orologio da muro che segnava le 12 spaccate, che se non fosse stato per il fastidioso ticchettio prodotto dalle lancette, avrebbe potuto pensare che il tempo si fosse fermato e che ogni singolo rumore si era amplificato di almeno due toni rispetto al normale, compreso il suo battito cardiaco.
Richiuse la porta di legno bianca alle sue spalle, respirando profondamente l'aria pulita di quella tarda mattinata, che nonostante fosse parzialmente soleggiata risultava più fredda delle solite.
Il taxi giallo ocra era già lì ad aspettarla, chiamato in un strano gesto di cortesia da Rebekah, con l'unica intenzione di assicurarsi che l'altra vampira non le giocasse un brutto scherzo e che, come promesso, andasse realmente a new Orleans senza tirarsi indietro. fortunatamente, Caroline non era una che si tirava indietro, non aveva mai detto niente invano, ogni promessa fatta era stata mantenuta, perché era stata cresciuta con dei principi morali ben definiti e non c'era cosa che più la facesse sentire meglio che rendere onore all'educazione che le era stata data dai suoi defunti genitori.
Durante il tragitto casa-aereoporto rifletté su una sua possibile dimenticanza, che venne rassicurata dal ripassare almeno una ventina di volte le azioni compiute e gli oggetti indispensabili alla sua vita quotidiana. Durante il suo rimuginare la mano sinistra cercò disperatamente l'anello di fidanzamento appeso alla collanina d'argento sul suo esile collo, con cui armeggiò disperatamente sentendosi lievemente più rilassata, gesto che spesso faceva in preda a crisi d'ansia o nervose, perché Stefan, vivo o no, era l'unica persona che potesse tranquillizzarla.
Il tragitto aereoporto-New Orleans, invece, fu un totale black out.
*****
Quando si risvegliò era ormai sera inoltrata, il sole era di un giallo più scuro che variava in diverse sfumature sull'arancione, notevolmente più basso, ad accarezzare il suolo della sonora new Orleans.
Si guardò attorno, imitando le persone che si affrettavano a scendere dall'aereo, che nonostante la leggera scomodità, era stato il padrone del suo riposo, rendendola più propensa ad affrontare Klaus, che conoscendolo, avrebbe risucchiato fino all'ultima briciola delle sue energie.
La cosa positiva era che non avrebbe dovuto trasportare la sua valigia, che a detta di Rebekah in uno sei suoi messaggi d'avvertimento, sarebbe stata recapitata direttamente all'albergo, menzionato anch'esso nel messaggio.
Quando fu saldamente a terra, con entrambi i suoi piedi, alzò lo sguardo nella città pullulante di vampiri e probabilmente licantropi, a giudicare dal forte odore di cane bagnato, non indifferente all'olfatto di un vampiro, se pur giovane e di poca esperienza.
Iniziò la sua camminata, calma ma allo stesso tempo decisa, ammirando come svariate persone, al calar del sole, si stessero posizionando in svariati angoli delle strade, reggendo sottobraccio custodie di strumenti musicali e tele ancora immacolate, pronte a immortalare i passanti ammaliati dalla bellezza di New Orleans.

"Caroline, sono in uno dei miei posti preferiti al mondo, circondato da cibo, musica, arte, cultura.
E non posso non pensare a quanto vorrei mostrarti tutto questo.
Forse un giorno me lo lascerai fare."

Aveva detto la voce roca dell'ibrido, così simile a quella reale, se non per la traccia robotica trasmessa dal telefono.
Non aveva mai risposto a quel messaggio vocale lasciato nel fondo della sua segreteria, ma dio se lo aveva ascoltato, più e più volte durante le sue giornate macabre, in cui il suo irritante accento sembrava mancarle più del resto.
Ed eccola lì, la città tanto amata da quel tenebroso originale, esattamente come l'aveva descritta.
Si perse nell'armoniosa melodia di un ragazzo dalla carnagione ambrata, che soffiava ogni sentimento, che tradusse come malinconia, attraverso al suo sassofono blu notte, perso anche lui nella sua stessa musica.
Oltrepassò un anziano signore che cercava di vendere ai passanti i suoi meravigliosi dolci, dall'aspetto squisito, agitando un muffin con forse un po' troppa panna accanto al viso paffuto, elogiandone il sapore, a suo dire, sublime.
Era tutto così incantevole, melodioso e vivace, come nessun altro luogo avesse mai visitato nei suoi pochi anni di vita, ma sapeva che quella città era anche pericolosa, molto pericolosa, e che il male era ad attenderla dietro qualsiasi angolo di quell'esuberante città.
Difatti, non appena superò un vicolo buio, venne afferrata e trascinata al suo interno, con una mano sudicia a coprirle la bocca e solamente l'oscurità di quel solco in mezzo a due muri ad inghiottirla.

The Klaroline diariesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora