Prologo.

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Si era cancellato il prologo, grazie wattpad.

Esattamente 67 giorni dopo l'inizio del secondo semestre scolastico iniziai a stare male, ripetutamente.
Conoscendo me stessa questa era una cosa abbastanza improbabile, per quanto a in questi anni avessi provato a farmi venire una febbre o qualunque tipo di virus niente aveva funzionato eppure eccomi qui ad avere mille malori senza alcun motivo.
Inizialmente avevo esultato ogni volta, ogni singola volta, ma poi i malori iniziavano a farsi sempre più frequenti e dolorosi, chiamai mia madre preoccupata quando sentii un dolore lancinante alla spina dorsale.
Mi passò una pomata dicendomi che avevo preso soltanto un po' di fresco oppure qualche botta.
Nella mia mente rigettai quelle possibilità come fossero spazzatura, ero rimasta per una settimana a casa sul letto, sul divano, sulla sedia, sulla scrivania, contro il frigo, davanti il frigo e sugli scalini.
Dovrebbe farmi male il culo, non la schiena.
Il giorno in cui iniziai a vomitare sangue chiamai disperata mio padre, ovviamente si pensò subito alla tubercolosi, specialmente perché in quei giorni una ragazza a scuola ne era stata affetta.
Mi portarono in ospedale per fare qualche controllo, immediatamente iniziai a sentirmi imbarazzata e impaurita.
Dottori ovunque, mani che mi toccavano da qualsiasi parte, analisi irrisolte, bastoncini sulla lingua, aghi ogni due per tre e litri su litri d'acqua.
Fare pipì con un'infermiera che ti sprona a farla nel barattolo non è proprio la migliore delle situazioni.
Dopo un giorno di isolamento pensavo che le cose non potessero andare peggio, non avevo neppure un libro da leggere, solo il mio telefono e le canzoni che ovviamente non potevo ascoltare per non disturbare gli altri pazienti.
(Come se stando in isolamento qualcuno potesse sentire quello che faccio.)
Non appena mio padre e mia madre arrivarono li fecero entrare nella mia prigione, il che mi terrificò un attimo:
Quale dottore sano di mente entrerebbe nella stanza con una malata di tubercolosi?
Così mi tirai indietro ma immediatamente il dottore allungò un braccio verso di me, si alzò gli occhiali con l'indice e fece un mezzo sorrise.
"Vieni pure, Coraline"
Non ero abituata a sentire il mio nome intero.
Le mie amiche mi hanno sempre chiamata Corie, o Cora.
"Dottore cosa sta facendo? Vuole che anche i miei genitori vengano infetti?"
Urlo immediatamente alzando le braccia per aria.
Fisso il dottore da dietro le sue lenti e poi vedo mia madre a braccia conserte e mio padre con le mani che si torturano tra loro.
Mia madre tira in sù col naso, mio padre è paonazzo.
Cosa cazzo..
"Coraline prego siediti" il dottor Grimbey si avvicina al letto e tocca la testiera facendomi segno.
Aggrotto le sopracciglia e incrocio le braccia avvicinandomi con passo pesante per poi sedermi con l'eleganza di un elefante.
"Cosa?" Chiedo impaziente.
Il dottore si toglie gli occhiali e qui mi chiedo se è una di quelle persone che senza occhiali non vede a un centimetro dal suo naso, perché in quel caso mi piacerebbe sapere come farà a leggere ciò che è scritto sulla mia cartella.
Il suo atteggiamento è calmo e pacato, non so quanto fidarmi però, credo che i dottori facciano qualche corso speciale per mantenere la calma, altrimenti immagino che durante le operazioni finirebbero per urlare come donnette quasi tutti.
A meno che non siano stati allevati da un branco di cannibali.
Magari i medici nascono e vengono allevati in una qualche strana fattoria di cannibali dove per pranzare devi prima rimuovere l'appendice a qualche bambino.
"Allora, parliamo un po' ti va?"
Mi guardo attorno, abbastanza confusa.
Parlare? Siamo in una cella di isolamento e lui vuole parlare? Non pensa nemmeno lontanamente che potrei infettare i miei genitori e persino lui?
"Prendo il tuo silenzio come un sì. Cosa ti piacerebbe fare nella vita?"
Smetto di pensare all'ambiguità della situazione e decido di rispondere senza rimuginarci troppo.
La mia mente sa essere davvero una chiacchierona a volte.
"La maestra all'asilo, credo."
Non ci ho mai pensato abbastanza, tutti i miei sogni erano cose irraggiungibili tipo diventare un'attrice, regista, fare musical e tutte queste cose fantastiche ma irrealizzabili. Pensando bene ad un lavoro "possibile", però, credo che la maestra all'asilo sia una cosa fattibile e soddisfacente.
"Bene, sono felice che tu abbia le idee chiare sul tuo futuro, io alla tua età a malapena sapevo che tipo di pizza preferivo." Si prende qualche attimo per ridere ma poi torna serio notando che né io né i miei genitori condividiamo il divertente ricordo.
"Comunque sia, voglio aiutarti a realizzare questo sogno ma soprattutto voglio che tu mantenga questa professione come obiettivo e voglio che tu non lo lasci mai andare, d'accordo?"
Annuisco guardando i miei genitori.
"Possiamo andare al dunque per piacere?"
Grimbey sorride e poi annuisce.
"Certo. Vedi abbiamo fatto delle analisi approfondite e non hai la tubercolosi"
Sorrido e fisso le lenzuola mentre lui poggia le mani sulle ginocchia per alzarsi in piedi.
"Ma abbiamo trovato qualcosa, nel tuo sangue."
Nel mio sangue? Che?
"Vedi hai davvero pochi globuli bianchi e ancora meno rossi"
Mia mamma poggia la testa contro la spalla di mio padre.
"Glielo dica e basta" chiede, la sua voce si spezza.
"Cosa?" Inizio a preoccuparmi, mia madre non è mai stata una dal pianto facile, né tantomeno affettuosa. Quel gesto significa qualcosa.
"Coraline, hai il cancro."
"Cosa?" Chiedo, non sono sicura mi abbia sentita, la mia voce esce quasi come un sussurro.
"Hai la leucemia."
No. No, no, no, non è possibile, no.

Come dicevo prima: pensavo che le cose non potessero andare peggio, ma mi sbagliavo.

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