Come ho sprecato due ore della mia vita

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In questo simpatico capitolo, parleremo del film "A un metro da te", che ho visto al cinema qualche weekend fa.

Ma prima devo assolutamente dire una cosa in mia difesa: non sono andata a vederlo di mia volontà. Mi ci hanno trascinata delle mie amiche.

Tra l'altro quel giorno c'era in cartellone anche un film tratto dall'anime e manga Boku No Hero e io stavo morendo al pensiero di non poterlo vedere.

Cioè, sarei stata bloccata in una sala per due ore e qualcosa a sorbirmi quella che prevedevo essere una palla sdolcinata (e ci ho azzeccato, poi vedrete), mentre tutti i nerd miei simili si gustavano uno spin off decente.

Fanculo.

E quando siamo entrate abbiamo scoperto che delle tipe si erano bellamente sedute ai nostri posti.

Doppio fanculo.

Siccome avevo buttato sei dei miei preziosi euro per uno di quei fottuti sedili e due ore di supplizio, col cavolo che mi sarei seduta sulle scale. In breve, le abbiamo fatte spostare.

Il film è partito e niente, trash e disagio. Non era il peggio del peggio, solo...trash.

E cliché.

Va bene.

Oggi sono qui, con il segno di un morso su una mano (lunga storia), due o tre notti di sonno arretrato e una certa voglia di continuare sto disagio.

Ecco quindi a voi il contenuto della pellicola (avverto che gli avvenimenti non saranno in ordine cronologico, semplicemente perché non me li ricordo. Amen).

C'è una ragazza, tale Stella, che soffre di una malattia genetica, ovvero la fibrosi cistica, che la obbliga a passare lunghi periodi in ospedale.

È una tizia attiva, positiva, ha un blog in cui posta cose e spiega la vita che fanno i malati.

Ah, e ha anche un'amica scema. In pratica, il film comincia con Stella che entra per l'ennesima volta in ospedale e deve rinunciare a una gita con le amiche o che ne so io.

Questa sua amica invece c'è andata e appena può la informa di quanto sta succedendo.

Ok, va bene tutto, ma, dico io, questa letteralmente faceva le videochiamate in piscina, in mezzo al delirio, facendo vedere tutto a una tizia chiusa in un ospedale.

Ma la sensibilità? In culo?

E questa era fatta passare per un'amica del cuore.

Va bene, tizia. Va bene.

Tornando a Stella, volete venire a conoscenza del primo cliché?

Io non volevo.

Si tratta del migliore amico gay. Un ragazzo come lei malato di fibrosi cistica, che chiamerò Gigino perché non mi ricordo il suo nome e che almeno non è stereotipato.

Del tipo che non si trucca o si comporta come una liceale ormonata.

Che, per carità, non dico che non esistano gay che amano mettersi i tacchi e la gonna e sfoggiare borsette firmate, ma stando alle storie cliché pare sia l'unico aspetto che un gay possa avere.

Perché non sia mai che un ragazzo palestrato, che ama lo sport, le auto, eccetera, possa essere gay.

Ma dove?

Comunque, nel film non c'era questo stereotipo e posso evitare di preoccuparmene.

A questo punto della storia entra in scena il nostro personaggio maschile, tale Will.

Will non vede speranza nel suo futuro e sembra rassegnato a morire di lì a poco.

Incontra Stella per caso, nel reparto neonatale (perché a Stella piace ammirare i bambini appena nati).

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