Capitolo VI - Senza di te

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«"Non t'amo come se fossi rosa di sale", di Pablo Neruda:
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.»

«Che razza di sdolcinato», sentenziò Eren, una volta che Armin ebbe finito di leggere l'ennesima lettera da parte del "suo" sconosciuto. Che ossimoro: gli era davvero concesso di parlare in questi termini di un estraneo?
Eppure, nei suoi confronti, il biondo provava una perturbante sensazione, detta in psicanalisi unheimlich: qualcosa a noi sconosciuto, ignoto, ma - al tempo stesso - vicino e familiare.
«È meraviglioso, Eren», commentò il biondo, conservando la lettera nel suo zaino insieme a tutte le altre ricevute in quei giorni, «però io amo già qualcun altro...per cui devo fare in modo di farglielo sapere, cosicché possa dimenticarmi».
Eren inserì il tabacco nella cartina, intento a preparare una sigaretta; era intenzionato a risparmiare il più possibile, con un unico scopo. Ma mentre rifletteva su questo, dalla distrazione, si lasciò sfuggire un pensiero ad alta voce.
«Sarebbe bello se lo sconosciuto fosse Jean».
Queste poche parole bastarono per far arrossire violentemente il suo migliore amico, che intanto ne negava la possibilità: purtroppo entrambi non vedevano Jean come un tipo da poesie e, per di più, non eccelleva in letteratura, per cui non potevano nemmeno supporre che avesse una "passione segreta" o simili.
I due sospirarono quasi contemporaneamente, mentre la classe si riempiva nuovamente al suono della campanella.
Il professor Ackerman arrivò puntuale e palesemente di pessimo umore: tutto nella norma, insomma. Kenzo, invece, si era presentato nella sua classe ogni giorno da quando si erano rivisti, augurandogli di passare una buona giornata e chiedendogli di pranzare insieme. Lo chiamava "'Ren senpai", e la cosa non solo lo imbarazzava, ma faceva anche morire dal ridere Armin, che non perdeva occasione di analizzare le reazioni di Levi.
«Jaeger, se non posi immediatamente quella sigaretta e non togli quello schifo dal tuo banco, te lo faccio ripulire con la lingua».
E mentre Eren si affrettava a posare filtrini, cartine e tabacco, ripulendo velocemente il tavolinetto dai residui, il biondo accanto a lui non smetteva di rimuginare su una consapevolezza. Ma era il caso di condividerla con Eren, sapendo che - probabilmente - l'avrebbe ferito?
«Però sai, Eren...ora capisco come si sente il professore», si decise finalmente Armin, sussurrando all'improvviso durante la lezione, «è frustrante ricevere messaggi e - nel mio caso - poesie da un anonimo. A volte la cosa mi fa stare davvero male...insomma, non è un'esperienza emozionante come ci si aspetterebbe».

Lo Jaeger pensò molto alle parole dell'amico; non smise di pensarci nemmeno durante il corso pomeridiano con Erwin e Kenzo. In realtà si era chiesto fin dall'inizio se fosse giusto farlo, e non solo scrivergli con un numero sconosciuto: la cosa che più lo turbava era l'essere entrato prepotentemente nella sua vita. Come se qualcuno entrasse in casa tua senza nemmeno avvisare prima o, perlomeno, bussare, come farebbe un ladro. Magari Levi nemmeno voleva, e mai avrebbe voluto.
E molto probabilmente Eren ne sarebbe uscito più ferito dell'Ackerman da quella situazione, ma la cosa non sembrava importargli: era il genere di persona che, finché non si buttava a capofitto in una sua decisione - giusta o sbagliata che fosse -, non si tirava mai indietro.
- Quando ti sentirò suonare di nuovo, Levi? -, scrisse velocemente al professore, tornando ad esercitarsi. Kenzo era bravissimo, e gli studi fatti in quegli anni all'estero avevano dato i loro frutti. Eppure, nonostante tutto, Erwin non aveva occhi - ed orecchie - che per Eren.
Lo Jaeger aveva ascoltato Levi suonare il pianoforte una sola volta, eppure sentiva di averlo capito, almeno un po'. In fondo si somigliavano parecchio: nessuno dei due suonava perché aspirava ad un futuro nella campo della musica; suonavano solo perché volevano arrivare al punto di non poter più essere dimenticati. Volevano raggiungere il cuore delle persone, e viverne all'interno per sempre.
Era forse quella la ragione per cui Eren era nato? Per frammentare la sua anima e condividerla con coloro che avrebbero prestato attenzione alla sua musica, con sincerità e commozione?
Eren, nonostante per qualche anno avesse smesso di suonare, in realtà sapeva bene di non poter dimenticare. Infatti non c'era mai riuscito: aveva accuratamente riposto il violino nella sua custodia, per poi abbandonarlo in un angolo della casa a prender polvere. Ma nonostante questo, quelle sensazioni, gli applausi, quella stanchezza quasi soddisfacente, le lacrime del musicista mescolate a quelle degli spettatori...non facevano altro che tormentarlo, scavando dentro il suo petto, nei suoi ricordi e nel silenzio di casa sua.
- Non appena si libera l'aula di musica penso che andrò a dare "un'occhiata". -, rispose Levi, stranamente tranquillo. Dov'era finito tutto il nervosismo, la rabbia di quei giorni e di quella mattina? Con l'anonimo riusciva forse ad aprirsi un po', dimenticando la sua tristezza, o era semplicemente un trucco, un'imboscata?
Probabilmente Armin gli avrebbe detto di stargli alla larga; ma Eren in quel momento si sentiva fuori di sé: non gli importava della sincerità del professore, né se in realtà gli stesse tendendo una trappola, e nemmeno di essere scoperto. Arrivato in cortile, dalla parte della finestra che portava direttamente all'aula del professor Erwin, si sedette per terra con le spalle poggiate al muro. Sapeva che se Levi si fosse sporto per aprire la finestra lo avrebbe sicuramente visto, ma ignorò la preoccupazione pur di stargli il più vicino possibile. Sentiva un bisogno disperato di lui, della sua voce, delle loro mani intrecciate, soprattutto con tutti i pensieri che gli affollavano la mente in quei giorni.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora